Come scrive Gianni Barbacetto, il brand Milano è in crisi ormai patente. La retorica della città contemporaneamente attrattiva e inclusiva si è incrinata, e la sfiducia cresce. Con due anni e mezzo di vita ancora avanti, la giunta potrebbe cogliere l’occasione per accogliere, finalmente, il punto di vista dei suoi abitanti e cambiare politica: frenare la rendita, calmierare i prezzi del mercato immobiliare, stornare i finanziamenti diretti e indiretti destinati alla promozione, alla turistificazione, alla finanziarizzazione e assegnarli ai servizi ai cittadini, alla manutenzione di case, scuole e spazi pubblici, potrebbe riorientare il governo della città verso una nuova dimensione pubblica, difendendo i cittadini dall’avidità degli interessi privati.
La risposta invece è l’accelerazione nella stessa identica direzione di sempre: spingere più forte sul pedale della rigenerazione dall’alto e dal basso, usando la seconda per ingabbiare chi si oppone alla prima.
Dall’alto l’amministrazione sta cercando di rimuovere ogni vincolo su San Siro per rimettere in pista il progetto di abbattimento e ricostruzione dello stadio; a luglio ha tagliato il glicine e gli alberi di Porta Volta per costruire la seconda piramide di Herzog e De Meuron; in estate ha eliminato linee di bus e tram che servivano i quartieri orientali della città per favorire il bilancio della nuova linea M4 della metropolitana Linate-San Babila; emana, uno dietro l’altro, bandi per privatizzare case popolari e centri sportivi; promuove a ritmo continuo forum e convegni sulla rigenerazione sull’intero territorio urbano; fomenta e pubblicizza con ogni mezzo l’avvio o i progressi di vecchi e nuovi cantieri ad alto impatto ambientale e sociale, oltre agli Scali ferroviari, per esempio SeiMilano a Bisceglie, Cascina Merlata a Molino Dorino, l’espansione dei centri commerciali NHOOD-Auchan su Piazzale Loreto (con LOC, oggetto di un concorso Reinventing cities) e il progetto di ricoprire 70000 metri quadri di binari a Cadorna con una gigantesca soletta di cemento che oltrepassa la Triennale, densa di mall e palazzi; avvia il processo di revisione del PGT per aumentare cubature e facilitare ancora meglio i privati.
Dal “basso” lo stesso Comune, insieme a una galassia di “esperti” di finta partecipazione – fatta di università, fondazioni, società private e a una quota di Terzo Settore compiacente o involontariamente cooptata – organizza una serie di incontri e iniziative diffusa con cittadini, associazioni e stakeholders per mettere in scena una grande simulazione di città inclusiva. Nella pratica, si tratta di processi di produzione del consenso e repressione del dissenso attraverso una ridondanza comunicativa linguisticamente fastidiosa e delle tecniche piuttosto grezze di marketing urbano: aiuole condivise, patti di collaborazione, murales celebrativi, uso distorto della cultura o della memoria, feste folkloristiche o cool di quartiere.
Un esempio lampante di questo iter è Hyper Corvetto. Panificazione aperta!, “Forum per contributi collaborativi al PGT nell’ambito tra Porta Romana-Santa Giulia-Chiaravalle, con al centro il quartiere Corvetto e il Parco Agricolo Sud”. Finanziato con il contributo di Fondazione Cariplo, questo che viene presentato quasi come un laboratorio di coprogettazione con gli abitanti è curato da Temporiuso (insieme a Stecca3 e Otto aps), cioè una di quelle associazioni-società di consulenza che hanno tradotto i concetti e le pratiche nobili e sperimentali della pianificazione aperta e della coprogettazione teorizzate in Italia dall’architetto radical Giancarlo De Carlo nell’odierna foglia di fico che serve a domare i milanesi più riottosi alle trasformazioni violente. Il media partner è la rivista ZERO, che a sua volta da freepress legata al mondo della notte si è trasformata in una sorta di agenzia di marketing urbano molto legata a YESMILANO e organizza per il Piano Quartieri del Comune festival e serate a Nolo, Corvetto e altre aree in via di brandizzazione. ZERO, per inciso, è ospitata attualmente nella Stecca3, diretta dalla stessa Inti e progettata da Boeri al confine tra l’Isola e il Parco BAM per “compensare” le associazioni e gli artigiani che occupavano la vecchia Stecca abbattuta per fare posto al Bosco Verticale: il compromesso che riuscì a spaccare il fronte degli attivisti che si opponeva al progetto di Porta Nuova.
Riuniti per due giorni a Chiaravalle nella sede di Terzo Paesaggio, questi attori hanno chiamato a raccolta una ventina di persone in totale per illustrare in modo sommario le trasformazioni cui il quartiere Corvetto sarà interessato durante e dopo le Olimpiadi 2026: trovandosi in mezzo a quello che loro stessi chiamano il “Triangolo d’oro” della rigenerazione, cioè lo Scalo di Porta Romana su cui sorge il Villaggio Olimpico, il quartiere di Santa Giulia prima magnificato e poi abbandonato, oggi sede di nuovi cantieri olimpici, e il Parco Sud che nell’area di Vaiano Valle e Porto di Mare sarà oggetto di nuove cementificazioni massicce.
Gli stakeholders – che nella stragrande maggioranza non sono gli abitanti ma gli animatori di spazi socio-culturali ibridi come Dopo? o ViaFarini, delle cascine adibite a usi vari, degli studentati o coworking – sono chiamati a presentare le loro attività, ascoltare senza fare troppe domande e a compilare degli scarni fogli A4 segnalando in poche battute “criticità” e “opportunità”, senza alcuna garanzia che le proprie note siano prese in considerazione dal Piano di governo del territorio (PGT) ma con la vaga speranza, se mantengono un profilo collaborativo e mai critico, di essere coinvolti in qualche futuro bando dedicato all’inclusività e alla coesione sociale nel nuovo Corvetto gentrificato.
I risultati di questo triste procedimento saranno presentati, articolati nelle quattro categorie (Co)Abitare inclusivo, Lavoro e spazi ibridi socioculturali, Paesaggio e spazi a uso pubblico, Grandi trasformazioni urbane, il 7 dicembre. La stampa sarà costretta a parlarne. Et, voilà, Milano avrà dimostrato quanto è democratica e inclusiva. Chi sperano di convincere, ancora?