di Leonardo Botta
Gira in queste ore lo slogan “Io sto con il gioielliere senza se e senza ma”. Si riferisce a Mario Roggero che nel 2021 ammazzò due rapinatori in fuga dopo aver svaligiato la sua gioielleria, ferendone un terzo; e che, per questo, è stato condannato in primo grado a 17 anni di carcere. Evidentemente hanno inciso, sull’esito del processo, i frame delle videocamere di sorveglianza che mostrano l’inseguimento per strada e i diversi colpi di rivoltella sparati da Roggero, che addirittura infieriva sul corpo di uno dei due ladri colpendolo alla testa mentre questi era riverso a terra.
Non voglio esprimere giudizi su Roggero, che immagino fosse esasperato da quello e da altri tentativi di rapina precedenti e che, salvo stravolgimenti della sentenza nei successivi gradi di giudizio, pagherà caro per questo gesto. Vorrei parlare invece di chi si è scagliato contro i giudici: mezza Italia si sta indignando per quella che ritiene una pena ingiusta. Naturalmente l’indignazione è stata cavalcata da una parte della politica nostrana; portabandiera, manco a dirlo, è il leader leghista Matteo Salvini, prontissimo a solidarizzare con Roggero.
Intanto, a Salvini ricorderei che la Lega per ben due volte ha contribuito a modificare, negli scorsi anni, il codice penale relativamente all’istituto della legittima difesa; se non si ritiene ancora soddisfatto, abbia il coraggio di riformare ancora la norma, magari ripristinando la legge del taglione (“occhio per occhio…”). Ma è più interessante capire fino a che punto possa spingersi il sentimento giustificazionista degli italiani: si ritiene la pena eccessivamente dura?
Se ne può discutere, anche a me sembra molto severa (al carcere per Roggero si aggiunge mezzo milione di euro di risarcimento alle famiglie dei rapinatori); ma, non essendo io uomo di legge, non posso far altro che attenermi alla sentenza e attendere quelle in appello e cassazione. O, piuttosto, si pensa che il gioielliere andasse totalmente assolto, interpretando in maniera molto estensiva il concetto di legittima difesa? Perché, parliamoci chiaro, chi lo ritiene non colpevole evidentemente sta pensando che quei due rapinatori (per i quali non ho nessuna simpatia, ma rispetto la loro tragica fine) meritassero la pena di morte.
Allora vorrei proporre un ragionamento: quanto avevano provato a rubare i due banditi? Immagino banconote o gioielli per alcune migliaia di euro. E dunque la loro morte vi sembra la giusta espiazione per tale colpa, pur considerando le aggravanti del forte stress psicologico arrecato al gioielliere e ai suoi incolpevoli dipendenti? Mi vengono in mente alcuni casi giudiziari del passato.
Sapete quanto tempo ha scontato in carcere Cesare Previti per la più grande vicenda di corruzione giudiziaria che la storia recente italiana ricordi, il lodo IMI-SIR? La “bellezza” di cinque giorni! Eppure stiamo parlando di un danno a un istituto di credito pubblico, e dunque ai contribuenti italiani, per mille miliardi di vecchie lire! E che dire di Callisto Tanzi, condannato per aver rovinato, con i prodotti finanziari Parmalat, ben 40 mila piccoli risparmiatori, che alla lettura della sentenza ebbe ad affermare candidamente: “Non me l’aspettavo”?
È interessante ricordare anche la vicenda dell’ex governatore Formigoni, condannato per corruzione su vicende riguardanti la sanità lombarda (e quindi la salute dei cittadini), che ha scontato una pena piuttosto breve e ora è pronto a rientrare nell’arena politica perché, dice, glielo chiedono in molti! The last but not the least è l’ex premier Silvio Belusconi, colpevole di frode fiscale all’erario per un valore di 7 milioni (più altri 150 prescritti) e “severamente” punito con qualche mese di servizi sociali in un centro per anziani.
Del resto in Italia, paese dai molti fenomeni corruttivi, i detenuti per reati da “colletti bianchi” sono solo il due percento della popolazione carceraria, contro il quindici della Germania. Ma di questo in pochi s’indignano.