Non solo i potenziali limiti imposti dal diritto internazionale e le denunce pubbliche delle organizzazioni che si occupano di diritti umani. Ad ostacolare l’effettiva operatività dell’accordo sui migranti con l’Albania, presentato a sorpresa un mese fa dal governo italiano dopo un bilaterale a Roma con il premier Edi Rama, si aggiunge anche l’opposizione albanese mettendo nel mirino le politiche del governo di fronte alla Corte costituzionale del paese. Un ulteriore scoglio

L’idea per cui l’Albania sia disposta a tutto pur di vedere accreditato positivamente il proprio tortuoso percorso di adesione all’Unione europea è piuttosto illusoria e semplifica decisamente la realtà. Infatti, nella giornata del 5 dicembre, il Partito democratico d’opposizione albanese, guidato da Lulzim Basha, insieme al gruppo parlamentare che fa capo all’ex premier Sali Berisha, che nei giorni scorsi aveva promesso al ministro Antonio Tajani che non si sarebbe opposto all’accordo, hanno presentato due ricorsi alla Corte costituzionale chiedendo che la procedura di ratifica dell’accordo, che sarà sottoposto al parlamento di Tirana il prossimo 22 dicembre, venga sospesa per illegittimità costituzionale e violazione della legge albanese.

Nello specifico, il punto contestato dalle opposizioni, su cui puntano per un intervento celere da parte della Corte, è la presunta incompatibilità con gli articoli 3, 4 e 7 della loro Carta costituzionale e con una legge del 2016 in materia di accordi internazionali. Nei ricorsi viene specificato che l’accordo “va oltre il semplice protocollo fra due governi, poiché l’Albania rinuncia alla sua sovranità sul territorio destinato ai centri di accoglienza e per questa ragione il premier avrebbe dovuto ottenere in anticipo l’autorizzazione del presidente della Repubblica”.

Nel comunicato della causa diffuso dal Partito democratico non emergono però solamente elementi giuridici, ma vengono chiamate in causa anche le modalità politiche “prive di trasparenza” con cui l’intesa è stata portata a termine da parte del premier. “L’accordo è stato annunciato in modo strano e senza preavviso e Rama, sfruttando il caos parlamentare, è riuscito ad evitare il dibattito pubblico suscitando preoccupazione nella popolazione”, si legge nel testo del ricorso reso pubblico dal quotidiano Shqiptarja.

Non è infatti solo la presunta incostituzionalità del patto ad interessare l’opposizione. Anzi, un tema su cui gli avversari politici di Rama stanno insistendo con pressioni sul governo fin dall’annuncio dell’accordo, è quello della sicurezza. Per questa ragione, nello stesso giorno in cui sono stati depositati i ricorsi, il ministro dell’interno Tualant Balla è stato chiamato a riferire sull’accordo davanti alla commissione per la sicurezza nazionale, occasione in cui l’opposizione ha approfittato per bloccare i lavori in segno di protesta, costringendo alla prosecuzione dei lavori online. In questa sede, Balla ha ribadito che la costruzione dei centri ed eventuali costi aggiuntivi saranno interamente a carico dell’Italia e che “il protocollo è importante per l’Albania perché le permette di affermarsi in maniera responsabile sul tema dell’immigrazione clandestina e di essere quindi considerata affidabile da partner internazionali importanti fra cui l’Unione europea”.

Seppure è difficile che la Corte riesca a pronunciarsi in tempi stretti prima del passaggio parlamentare del 22 dicembre, al cammino verso la realizzazione dell’accordo voluto da Giorgia Meloni con l’Albania si aggiunge ora un ulteriore scalino e anche questa volta, il bastone fra le ruote, porta la firma dei perfetti alleati della destra italiana.

@Twitter: BrambillaTh

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