Partito in Argentina l’ardito esperimento Milei, per ora gli annunciati fuochi d’artificio sembrano tuttalpiù petardi. Il neo presidente, per ora. non chiuderà la Banca Centrale (Bcra) come aveva promesso in campagna elettorale. Lo si era capito già nei giorni immediatamente successivi alla vittoria dello scorso 20 novembre. La banca continuerà ad operare sotto la guida di Santiago Bausili, ex sottosegretario alle Finanze durante il governo di Mauricio Macri (2015-2019) e uomo di fiducia del ministro dell’Economia designato, Luis Caputo. In stand by anche la dollarizzazione ovvero la sostituzione della moneta nazionale (peso) con quella statunitense. Operazione molto complicata e rischiosa, come messo in lice da diversi economisti. Javier Milei si ispira per questa sue idee monetarie all’anarco capitalista statunitense Murray Rothbard che, a dire il vero, nessuno altrove ha mai preso seriamente in considerazione. Nelle scorse settimane il presidente ha ribadito che la chiusura della banca centrale non è negoziabile così come rimane l’idea della dollarizzazione, ma le tempistiche, che inizialmente dovevano essere velocissime sono diventate molto vaghe. Va detto che l’Argentina è di fatto sotto commissariamento del Fondo monetario internazionale. Ogni tre mesi una delegazione del fondo arriva a Buenos Aires per fare il punto su riforme etc. Improbabile che non abbia voce in capitolo nelle scelte del nuovo presidente.

Un’altra retromarcia alle viste è quella sulla Cina con cui Milei aveva detto di voler rescindere qualsiasi legame poiché si tratta(va) di “un regime comunista guidato da assassini”. I toni si sono fatti ora più concilianti anche perché Pechino in Argentina sta investendo molto. La Cina acquista quasi il 10% di tutte le esportazioni argentine (in particolare soia) e ha esteso una linea di swap valutario da 20 miliardi di dollari per sostenere le riserve dell’Argentina. Anche le società cinesi sono fortemente coinvolte nei settori del litio e delle infrastrutture locali.

Altra colonna portante del programma presidenziale è la privatizzazione di qualsiasi cosa si muova. Innanzitutto della compagnia petrolifera statale Ypf. Che però prima deve essere ristrutturata per essere poi “venduta in modo molto favorevole per gli argentini”. Milei ha spiegato che: “Tutto ciò che può essere nelle mani del settore privato finirà nelle sue mani”. In lizza per la vendita ci sono anche la TV pubblica, la Radio Nazionale e l’Agenzia Nazionale di Stampa (Telám). Sindacati, naturalmente, sul piede di guerra, in un paese che ha una lunga tradizione di vigorose proteste contro piani di liberalizzazioni.

Quello che mostra la più marcata continuità tra il Milei prima e dopo sono esternazioni provocatorie su temi come ambiente o parità di genere. Secondo il presidente la crisi climatica è “un’altra delle bugie del socialismo” poiché “Esiste un ciclo di temperature… un comportamento ciclico… e quindi tutte le politiche che incolpano gli esseri umani per il cambiamento climatico sono false”. Una tesi molto cara a centri studi che ricevono finanziamenti dalle compagnie petrolifere come, in Italia, il piccolo Istituto Bruno Leoni. “L’ideologia di genere, i popoli nativi, l’ecologia e il linguaggio inclusivo degli insegnati nelle scuole pubbliche argentine distruggono i valori della società”, ha anche avuto occasione di spiegare il presidente.

Dalle parole ai fatterelli, lo strappo istituzionale più forte avverrà il prossimo 10 dicembre con uno stravolgimento dell’abituale protocollo. Tra i consueti passaggi cerimoniali, figura un inedito nella storia del paese: invece del tradizionale discorso al Parlamento al termine della consegna della fascia e del bastone di comando presidenziali, la scaletta prevede infatti un discorso nella scalinata del Palazzo del Congresso di fronte ad una folla di sostenitori. Lo stesso Milei si è incaricato di convocare i suoi seguitori attraverso i social con un post dove invita la cittadinanza a radunarsi nella Piazza del Congresso portando una bandiera argentina all’insegna del suo tradizionale motto: “Viva la libertà, carajo!”. Si tratta di un’iniziativa che alcuni analisti interpretano come un segnale per mostrare al Parlamento – dove Milei vuole imporre un’estesa agenda di riforme nonostante la rappresentanza risicata di deputati e senatori di cui dispone – qual è l’origine della sua autorità. Molto più populismo che liberismo insomma. All’insolita cerimonia potrebbe partecipare il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. Lo riferiscono media locali citando fonti dell’ambasciata di Kiev in Argentina che darebbero l’informazione come confermata.

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