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Così la lobby delle armi fa il pieno di fondi europei. “In 4 anni 700 incontri a Bruxelles”. E ora puntano alle risorse per “green” e migranti

Miliardi di finanziamenti dal settore della Difesa, ma anche dalla gestione migratoria e dai fondi verdi. Le aziende europee delle armi sono riuscite a ottenere dall’Unione una montagna di denaro, grazie a un’intensa attività di lobbying a Bruxelles e complice l’invasione russa dell’Ucraina e lo scoppio della guerra in Medio Oriente.

Un nuovo rapporto della Rete europea contro il commercio di armi (Enaat) mette in luce i legami sempre più stretti tra l’industria delle armi e la politica europea. Rapporti intessuti in anni di incontri ed “eventi” con eurodeputati e commissari. Nata nel 2016 l’Enaat è una rete informale di 20 gruppi pacifisti europei da 15 Paesi, tra cui l’italiana Rete pace e disarmo.

Tra le aziende più attive nei corridoi del Parlamento e della Commissione europea spiccano Leonardo, Safran e Airbus. Del resto, la quantità di fondi che i 27 stanno destinando alla Difesa continua ad aumentare. L’European Peace Fund (Epf) disponeva di una dotazione di 5,7 miliardi di euro per 2021-2027, ma il 26 giugno il Consiglio ha deciso di aumentare il fondo fino a oltre 12 miliardi. Il fondo Asap per l’incremento della produzione di munizioni, invece, vale 500 milioni di euro (di cui 260 presi dallo Epf). Quanto alla spesa militare diretta dei Paesi europei, del resto, stando ai dati dell’Agenzia europea della Difesa, nel 2021 è cresciuta del 6% toccando 214 miliardi di euro, e questo senza ancora rispettare l’impegno preso dai Paesi Nato di destinare il 2% del loro Pil al budget militare.

Airbus la più attiva – Le aziende del settore hanno seguito questi processi decisionali della politica europea molto da vicino, con “pressioni incessanti” attraverso i loro lobbisti, evidenzia il report Enaat. Di concerto con l’ong Corporate Europe Observatori (Ceo), la rete europea del disarmo ha contato 175 incontri con europarlamentari tra il 2019 e il 2023, 536 con membri della Commissione europea. Il colosso aeronautico francese Airbus la fa da padrone, con una spesa stimata in attività di lobby che sfiora il milione e mezzo di euro, 261 incontri con membri della Commissione tra il 2014 e il 2023 e 78 con europarlamentari tra il 2019 e il 2023. L’italiana Leonardo è terza per numero tra il 2019 e il 2023, dopo Safran: ha speso circa 300mila euro, con un numero di incontri proporzionale pari a un quinto. “Solo Google ha più incontri di lobby di Airbus, a Bruxelles”, ha raccontato Bram Vranken del Corporate Europe Observatory. A differenza però delle grandi multinazionali di internet, Google Meta Apple le altre Gafa, che hanno investito milioni per curare i rapporti con i policy maker europei, qui risultati sono più tangibili: “La lobby delle armi è molto efficiente, con risorse relativamente limitate ha ottenuto molto più di qualunque altra lobby”, continua Vranken.

Cifre al ribasso – “Questi numeri sono largamente sottostimati”, spiega il ricercatore del Ceo. Il motivo: “A essere monitorati sono solo i 300 funzionari di alto livello, a fronte di 30 mila dipendenti degli apparati europei e gli europarlamentari non sempre comunicano i loro incontri con rappresentanti di aziende private”. Inoltre, i loro collaboratori o assistenti non sono tenuti a dichiarare le loro agende secondo la debole normativa sulla trasparenza europea.

“I numeri ci parlano comunque di un lavoro di lobby sostanziale”, valuta Mark Akkerman, tra gli autori del report. I gruppi parlamentari più sollecitati sono i più ampi: Popolari, socialisti e Renew Europe. La più sollecitata è proprio l’eurodeputata francese Nathalie Loiseau, presidente della sottocommissione sulla Sicurezza e Difesa. Loiseau è stata ministra degli affari europei del governo di Édouard Philippe tra il 2017 e il 2019, sotto la presidenza di Emmanuel Macron.

Il report menziona le “porte girevoli” di Thierry Breton, a capo anche della Direzione generale per l’industria della difesa e lo spazio (Dg Defis) di recente creazione, ma anche ex amministratore delegato della francese Atos, azienda di servizi tecnologici specializzata in soluzioni per la Difesa. Breton è tra i più presenti agli incontri con i lobbisti delle armi. All’inverso, lo spagnolo Jorge Domecq è passato dalla European Defence Agency a fare il consulente del ramo militare di Airbus nel 2022.

Interessi sui migranti – L’attività delle lobby delle armi si estende anche alla questione migratoria. “Lungi dall’accontentarsi del Fondo europeo per la difesa, le aziende degli armamenti hanno approfittato del nuovo paradigma di militarizzazione dei confini dell’Unione Europea”, spiega Akkerman.

Sulla politica migratoria, la lobby del militare ha spinto con successo per la securizzazione e la militarizzazione dei confini, attraverso l’agenzia Frontex. Diversi funzionari europei si sono incontrati con aziende militari e di sicurezza per discutere il futuro del sistema di monitoraggio e sorveglianza delle frontiere dell’Ue. Tra i loro interlocutori, secondo il report, c’era Giorgio Gulienetti, responsabile ricerca tecnologica di Leonardo. A marzo, quando l’agenzia Frontex ha organizzato con Europol e la Commissione una “Conferenza sulle tecnologie innovative per il rafforzamento dello spazio Schengen” tra i relatori invitati c’erano rappresentanti di Airbus e Safran, per “condividere soluzioni diverse per la gestione e la sicurezza delle frontiere”. “Le aziende delle armi europee visitano regolarmente la sede di Frontex a Varsavia”, scrive l’Enaat. Il registro di trasparenza (limitato) mostra ad esempio incontri con Airbus nel 2021 e nel 2022.

I fondi green e l’export “ammorbidito” – Le aziende produttrici di armi fanno sempre più pressione anche su altre politiche per loro importanti, come le esenzioni dalle normative ambientali, l’accesso alle materie prime e l’allentamento delle regole sull’export. In discussione, dal 14 novembre, c’è l’ipotesi di includere i finanziamenti della Difesa nelle politiche green sulla sostenibilità (Esg), operazione che gli attivisti qualificano, nella loro ricerca, come “greenwashing delle armi”.

Quanto all’export all’estero, gli ultimi dati pubblicati dal Sipri, l’Istituto di ricerca internazionale sulla pace di Stoccolma, mostra che le 26 principali aziende belliche europee hanno incrementato i loro ricavi dalla vendita di armi dell’1% circa l’anno scorso, raggiungendo 121 miliardi di euro. Il blocco europeo nel complesso è tra i principali esportatori, con primo cliente l’Arabia Saudita.