I versi che seguono sono stati scritti negli anni Novanta e negli anni Duemila, quindi in prevalenza in Germania, dove Ol’ga Martynova, poeta, romanziera e saggista russa, si è trasferita da più di trent’anni con il marito Oleg Jur’ev, purtroppo scomparso nel 2018, anche lui poeta, e curatore dell’Antologia leningradese, pubblicata a Mosca nel 2019. Ol’ga e Oleg, Oleg e Ol’ga. Avevano una nell’altro e viceversa il proprio paese anche fuori dalla Russia e la seconda metà della propria anima. Nel lutto Ol’ga continua a trovare la forza per vivere, scrivere e viaggiare. Qui è anche una poesia dedicata a Elena Schwarz, poetessa anche lei pietroburghese, alla quale erano entrambi molto legati e a cui Ol’ga ha dedicato un bellissimo saggio-ricordo.
A.A.
***
È sdoppiato, come un ponte aperto [1]
In doppiopetto da statale Pietroburgo altezzoso
Mangia dentro una persona,
Lascia l’involucro poco appetitoso,
E si avvia leggero nella pioggerella mattutina.
Ma guarda,
Ecco Pietroburgo vestito in borghese:
Ubriaco, bonario e spelacchiato.
In una vestaglia bisunta, spettinato,
Dentro invece quello sobrio e mangiato.
Così, sdoppiato, come un ponte aperto,
Parla senza parole con le mani…
…Oppure con l’eternità, come a palla, gioca
Davanti a tre secoli tracotanti.
Sotto la pioggia.
Di nuovo dicembre
a Elena Schwarz
un mite dicembre entra in punta di piedi.
gli abeti stanno nelle siepi – spose con una sola gamba.
nella brodaglia di stelle gelida si trascina Qualcuno, non sapere
Chi passa lassù, l’impossibilità di vedere il Suo cuore come ruggine mangia.
in tane eleganti la famiglia infelice ha trovato rifugio.
lontano l’egitto, attraversare questa neve, questo fango,
e anche lì di buono c’è poco, si può piangere
(com’è cambiato tutto in duemila anni!), masticando dell’estraneità il boccone caldo.
donne colorite gelati ricevono gli spicci,
fa ruotare la sfera trasparente sulla punta della canna il soffiatore,
un angelo piatto, attaccato per l’ala all’albero di Natale, vola, fischia un piffero d’oro,
sotto i piedi le macchie porpora del vino caldo s’intravedono nel ghiaccio.
il gallo sulla guglia è rauco, ma grida la sua novella che non si sente.
il tempo non si è gelato del tutto, in una lineetta si stende.
ecco il procione che dimena buffo le zampe nel tirassegno.
ecco il vagabondo che fruga nella ricca spazzatura natalizia.
c’è ancora di che vedere nella sfera trasparente,
che sta lì lì per cadere, se a gennaio non l’afferrerà nessuno.
Besame mucho
L’Europa è stata ripulita perfettamente.
Solo il terrore di ieri corre come una tormenta.
Un terrore invisibile – lungo i marciapiedi come una tormenta.
Guardo la carta geografica (cucita con il cordone fitto,
Attorcigliato sui confini), col sangue sparso inutilmente.
Guardo la carta: nel mondo della ragione e dell’igiene
Anche le canzoni cantano di ragione e igiene,
Quando intorno urlano le sirene, vanno le iene,
Al tramonto chiacchierano le biancoalate sirene,
Con voci calme
Chiedono di entrare nel paese della Geenna.
Guardo la carta: un mosaico della Roma tarda,
Sul quale diverse belve, incastrandosi coi denti, attorcigliando le code,
scontrandosi coi fianchi, accecandosi con gli artigli, le corna – come inestricabilmente –
Per un istante si sono fermate, e così le ha colte l’artista.
Quando questo groviglio volerà via in pezzi, la carne fresca
Riempirà le fogne di parigi, le tegole di marburgo, le piazze di praga, l’acqua nera della neva:
Allora ragione e igiene abbandoneranno le canzoni,
Nella preoccupazione del pane quotidiano i fratelli Eros e Fobos si abbracceranno:
Baciami più forte, nei vicoli c’è solo un fischio senza nome, sulle piazze piene non si sa di quale popolo, dagli stagni viene un odore orribile, baciami più forte, verrà un’altra volta Petrarca, inimmaginabile in un paradiso igienico, un’altra volta le fanciulle non sapranno se resisteranno ad aspettare gli sposi, e i mariti – se le mogli li aspetteranno, tintinnano i bracciali sui polsi abbronzati, baciami più forte.
***
le case trasparenti entrano una nell’altra,
la memoria le disegna in modo rozzo e impreciso,
il sole freddo fa fumo sulla neva.
tutti quelli che sono morti, mentre non ero a casa,
è come fossero vivi. sul selciato rifatto nuovo
lungo le loro case io non ho camminato,
non ho visto quel vuoto
simile al vuoto lasciato da un dente.
come pipistrelli pendono i ponti,
guardiani dei miei morti, una fredda soffitta
la mia città a novembre. quanti ne ho congedati –
come fossero tutti vivi. come non fosse così.
Non su Venezia
Sempre più a lungo il suono si fa attendere. Eppure l’aria autunnale è pulita.
Il frassino color limone, l’odore della zolla marcio.
Gli alberi tengono gli uccelli dalle zampette intirizzite.
Sempre più a lungo il suono si fa attendere, tanto il vuoto è tenace.
Così leggero il vuoto, così snodato.
Dappertutto della distanza il prolungato respiro,
Lo sguardo ha incrociato il Canal Grande – da lontano.
Lì dei cipressi il bagliore nero.
Di Venezia l’avvolgimento da lumaca,
Senza addolcire l’autunno, lacrima dal vecchio occhio.
C’è odore d’oro, di pesce, di antimonio.
Di schiavi, di caffè, di pesce, di rosso da trucco.
Gli omuncoli nei vetrini dei fanali,
I dorsi dei ponti, la baldoria che sa di muffa,
la cui torta è tanto più preziosa quanto più rafferma,
e unto di spregiudicatezza il grembiule.
Sempre più a lungo il suono si fa attendere. Forse sono
Venuta da te, Venezia, inseguendo il suono.
Mi viene incontro il mio frassino teutonico,
sventolando l’osso di un uccellino.
***
Ol’ga Martynova è nata nel 1962 a Dudinka, nella regione di Krasnojarsk, ed è cresciuta a Leningrado. Dalla fine degli anni Settanta faceva parte della scena poetica non ufficiale; all’inizio degli anni Ottanta è stata uno dei fondatori del gruppo “Kamera chranenija” [Deposito bagagli]. Nel 1991, insieme con Oleg Jur’ev, si è trasferita in Germania, a Francoforte. Dalla fine del 1990 scrive in russo e in tedesco. Dopo la morte di Oleg solo in tedesco. In russo: sei raccolte poetiche, e una in arrivo nel 2024. In tedesco: tre romanzi, due libri di saggi. Ha vinto il Premio Ingeborg Bachman, il Premio Roswita von Gandersheim, il Premio Letterario di Berlino.
[1] In russo la città, “gorod”, è di genere maschile, così Pietroburgo viene immaginata come un uomo.