“Serena Mollicone non è morta dove è stata ritrovata”. I luogotenenti dei carabinieri che erano in servizio nei giorni in cui fu compiuto l’omicidio brutale della 18enne di Arce, nel giugno del 2001, sono intervenuti poche ore fa, nel processo d’appello contro gli indagati: la famiglia Mottola e i carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprani. Entro la fine di quest’anno è attesa la sentenza su questo truce delitto, entrati nell’immaginario collettivo come “il delitto di Arce”.
Secondo le dichiarazioni degli uomini in servizio al Ris di Roma all’epoca, Vittorio della Guardia, Ferdinando Scatamacchia e Rosario Casamassima, “da tecnico e non da investigatore – ha dichiarato quest’ultimo – e sulla base degli elementi isolati sul nastro adesivo, escludo che la ragazza sia stata uccisa sul posto dove è stato trovato il cadavere. Serena Mollicone ha urtato – continua – la porta della caserma dei carabinieri e a supporto di questa teoria c’è il fatto che sia sul nastro che sul capo della vittima c’erano elementi da vernice da caldaia e una traccia della stessa porta. La nostra valutazione sulla dinamica dell’omicidio è supportata dalle leggi della fisica”. Pare non sia stato trovato nessun luogo compatibile con queste caratteristiche.
“Dovremmo andare da un’altra parte e trovare la stessa porta e la stessa caldaia”, ha aggiunto, “ma siamo partiti da un’indagine dove c’erano già alcuni elementi e siamo andati avanti su questo. Le analisi eseguite supportano l’ipotesi che Serena Mollicone sia entrata in caserma”. Il legno, la resina e la colla trovati sul nastro avvolto sul capo della ragazza sono riconducibili a una porta dell’alloggio della caserma. Queste tracce, non sono state contaminate dall’ambiente esterno dove è stato ritrovato il suo corpo perché sigillate dalla busta che aveva sulla testa. Le analisi degli uomini del Ris, durate più di un anno, si sono concentrate sui capelli della ragazza dove è stato ritrovato il frammento ligneo che riconduce alla porta. L’arma del delitto, dunque, potrebbe essere la porta secondo quanto detto.
Il delitto
Il 3 giugno del 2001 una ragazza di soli 18 anni viene ritrovata brutalmente uccisa dopo tre giorni in cui se ne sono perse le tracce. I carabinieri trovano il suo corpo senza vita nel boschetto di Arce, in provincia di Frosinone: la testa è avvolta da un sacco di plastica, mani e piedi sono legati da un fil di ferro e dello scotch e bocca e naso sono avvolti da nastro adesivo. Potrebbe essere morta per asfissia.
Le indagini
Per sette anni nessuna svolta nelle indagini fino a quando nel 2008, il brigadiere Santino Tuzi si uccise modo anomalo, pochi giorni dopo aver raccontato alla Procura che Serena, la mattina del primo giugno del 2001, era entrata in caserma e non ne era più uscita. Nel 2011, gli inquirenti aprirono le indagini sugli imputati: l’ex maresciallo dei Carabinieri Franco Mottola, la moglie Annamaria e suo figlio Marco. Secondo l’accusa, la ragazza sarebbe stata ammazzata durante un diverbio con la famiglia Mottola. Nel 2016, venne riesumato il cadavere dalla Procura e la perizia di 250 pagine fece emergere che gli organi sessuali e l’ano di Serena erano stati rimossi, forse per eliminare tracce compromettenti. La pensava così anche il padre di Serena Gugliemo Mollicone, scomparso nel 2020 per un infarto. Nel 2022 la Corte d’Assise ha assolto gli indagati per mancanza di prove ma meno di un mese fa, la stessa Corte d’Assise di Roma ha deciso di riaprire il processo su richiesta della Procura e sulla base di nuove testimonianze e consulenze. La prossima udienza è prevista il 14 dicembre, poi l’ultima il 21, in cui forse arriveranno quelle risposte definitive per cui il padre di Serena ha duramente lottato e che purtroppo non potrà più avere.