“Il mio grido ‘Viva l’Italia antifascista’ alla prima del Don Carlo alla Scala? Io sono sicuramente inquietato dal fatto che alla presidenza del Senato ci sia una figura come Ignazio La Russa. Insomma, essere un po’ inquietati mi sembra abbastanza normale e legittimo“. Sono le parole pronunciate a Otto e mezzo (La7) dal giornalista Marco Vizzardelli, balzato agli onori delle cronache per aver gridato ‘Viva l’Italia antifascista’ dal loggione della Scala durante la prima del Don Carlo e per essere stato successivamente identificato da alcuni agenti della Digos.
Vizzardelli smentisce categoricamente che si sia trattata di una protesta organizzata. Anzi, precisa di aver cercato di placare alcuni giovani loggionisti che, durante la fila per i biglietti, avevano mostrato insofferenza per la presenza dello stesso La Russa e di Salvini alla Scala: “Loro erano molto, ma molto più accesi di quanto sia stato io sulle reazioni da attuare. Ma io li ho calmati dicendo: ‘Attenzione, non facciamo di tutta l’erba un fascio, perché davanti a Liliana Segre ci si inchina, si dice ‘grazie’ e basta‘”.
Il giornalista racconta anche i dettagli del discusso fermo attuato dalla Digos: “Dopo il mio grido ‘Viva l’Italia antifascista’, durante il primo atto al buio sono stato avvicinato da un personaggio che si è messo a girare attorno a me. Dal suo modo di fare ho intuito subito che si trattasse di un agente in borghese. Lui ha capito che ero allarmato, ma mi ha tranquillizzato dicendo che non c’era niente di grave – continua – Quando si sono accese le luci, all’inizio dell’intervallo, si è presentato mostrando il distintivo e dicendomi che mi avrebbe dovuto identificare. Io sono saltato un attimo e ho chiesto perché. E me ne sono andato nel foyer del loggione all’ultimo piano”.
Vizzardelli prosegue: “Sono stato poi raggiunto da 3 o 4 agenti della Digos, che mi hanno ripetuto la richiesta di identificazione. Ho chiesto nuovamente il perché e se avessi commesso qualche reato. Loro mi hanno risposto di no ma hanno precisato che il non mostrare i miei documenti sarebbe stato un reato. E io – conclude – ho replicato: ‘Sì, vi mostro i documenti ma non è che io ho urlato ‘Viva l’Italia fascista’, nel qual caso giustamente avreste potuto legarmi e portarmi via. Ho detto ‘Viva l’Italia antifascista’”. Gli agenti mi hanno risposto: ‘Guardi, siamo molto d’accordo con lei. Ma il nostro compito qui è questo'”.