Ne sono state raccolte oltre centomila, quando ne bastavano la metà. Si parla della raccolta di firme denominata Un cuore che batte – petizione presentata dal VI Municipio di Roma guidato da Nicola Franco di Fratelli d’Italia. Iniziativa sostenuta dall’associazione “Ora et labora in difesa della vita” insieme ad altre 14 associazioni – tra i quali Pro Life & Famiglia onlus – per introdurre nell’articolo 14 della legge 194 il comma 1-bis, una prassi che Amnesty International ha definito paragonabile a una tortura: tramite esami strumentali, obbligare le donne a vedere il feto che portano in grembo e ascoltare il suo battito cardiaco onde dissuaderle.
Il Texas dal 2021 ha una legge sull’aborto, la heartbeat bill, che si basa su una singolare premessa contestata da molti esperti medici: “Una volta che l’ecografia rivela un’attività elettrica cardiaca in un embrione (e questo avviene alla sesta settimana) significa che quell’embrione ha un cuore e quello è già un bambino vivo”. Ma nella primissima fase della gravidanza, dicono i medici, l’embrione ha le dimensioni di un seme di melograno e ha solo un tubo primitivo di cellule cardiache che emettono impulsi elettrici e pompano il sangue. Si può quindi chiamare cuore quell’ammasso primitivo di cellule che irradiano impulsi elettrici?
Il dibattito in Texas, come in Italia, è acceso e sempre fecondo di nuove iniziative tra i Pro Life e i Pro Choice. Lo scorso 16 novembre Giulia Crivellini, tesoriera di Radicali Italiani e Vittoria Loffi, coordinatrice della rete Libera di Abortire, hanno organizzato un presidio davanti al VI Municipio di Roma per promuovere una raccolta di firme contro l’iniziativa Un cuore che batte, per dire basta all’ingerenza sui corpi delle donne, e contestualmente dare la possibilità alle cittadine e ai cittadini di firmare la proposta di legge di iniziativa popolare per il superamento e la modifica della normativa vigente, che preveda il riconoscimento dell’aborto come vero e proprio diritto riproduttivo; l’abbattimento dell’obiezione di coscienza e l’aggiornamento continuo del personale medico, oltre al potenziamento dei consultori che garantiscano una informazione laica e scientifica concernente i metodi contraccettivi, permettendo a chiunque di scegliere il metodo più adatto.
Da quando la destra è al governo la legge 194 è sotto attacco. Una legge che dopo la sua nascita nel 1978 fu confermata in un referendum popolare nel 1981; segno di quanto sia penetrata nella società civile. Da allora la legge non ha subito alcuna modifica, ma negli ultimi anni assistiamo a un boicottaggio continuo e sistematico con il suo svuotamento attraverso i consultori, e la percentuale dei medici obiettori di coscienza negli ospedali – 7 ginecologi su 10 – ben oltre quella consentita.
Il governo vorrebbe farci credere che il ricorso all’aborto abbia inciso negativamente sulla natalità. Una tesi smentita da una Relazione al Parlamento sullo stato della 194 (anni 1983-2020) che analizza il rapporto di abortività, che esprime il numero di IVG in relazione ai nati vivi e dice: “nel 1983 si eseguivano 38,2 IVG ogni 100 nati, mentre nel 2020 lo stesso rapporto è stato pari a 16,6 IVG ogni 100 nati. Visto che nel tempo sono diminuiti sia il numeratore (n. IVG) che il denominatore (n. nati vivi) del rapporto di abortività, non si può affermare che l’aborto abbia inciso negativamente sulla natalità”. Quanto alle oltre centomila firme che arrivano in Parlamento, sarà molto difficile che la mozione ottenga il placet delle due aule. Nella proposta di modifica alla legge sono stati trascurati principi costituzionali: senza il suo libero consenso, nessuno può essere obbligato a un atto diagnostico o terapeutico. E nello specifico, è il medico che ha il dovere di proporre l’ecografia e l’ascolto del battito cardiaco del feto, ma la donna non è assolutamente obbligata ad acconsentire.
Il tormento di non volere un figlio non sta in quel figlio, ma nelle difficoltà spesso insuperabili di crescerlo, quel figlio. Incentivare la natalità non sta nell’obbligo della maternità, ma partecipare al carico di dolore e delle difficoltà e cercare di risolverlo.