Condanna in primo grado – dopo una richiesta di proscioglimento in fase di udienza preliminare – assoluzione in appello. È racchiuso in queste tre principali fasi una delle inchieste scaturite dal caso Antonveneta. Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, ex vertici di Mps, e Paolo Salvadori, allora presidente del collegio sindacale, sono stati assolti in appello a Milano, assieme alla banca, nel processo per falso in bilancio e aggiotaggio sul filone delle indagini che riguarda la contabilizzazione dei derivati Santorini e Alexandria. Il Tribunale aveva condannato i primi due a 6 anni, il terzo a 3 anni e mezzo di reclusione e Monte Paschi a 800 mila euro di sanzione pecuniaria. Il filone d’indagine era stato trasmesso per competenza da Siena a Milano, sede della Borsa. La Corte ha assolto gli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste”. Viola e Profumo, dopo la lettura del dispositivo, si sono abbracciati ed erano visibilmente commossi. I giudici hanno anche revocato le statuizioni civili.
Il rinvio a giudizio degli imputati era stato disposto nell’aprile del 2018. L’allora pm, Stefano Civardi, aveva chiesto il proscioglimento in sede di udienza preliminare dei tre imputati per i quali la stessa Procura in fase di indagini aveva chiesto già l’archiviazione prima che il gip Livio Cristofano, nell’aprile 2017, disponesse l’imputazione coatta. Il pm Civardi in aula aveva ribadito che era vero che i derivati avrebbero dovuto essere contabilizzati “a saldi chiusi” e non “a saldi aperti”, come è stato fatto, ma gli ex manager hanno fornito negli allegati ai bilanci tutte le indicazioni su quali sarebbero stati gli effetti della contabilizzazione “a saldi chiusi”, senza intenzione di ingannare il mercato. La decisione dei giudici arriva dopo la conferma della Cassazione delle assoluzioni di tutti gli imputati nel procedimento ‘madre’ sul caso dell’istituto di credito.
Il collegio Correra-Bernazzani-Siclari era entrato in camera di consiglio intorno alle 11.30. La Procura generale di Milano, rappresentata dal sostituto Massimo Gaballo, aveva chiesto la conferma della condanna di primo e della multa di 800mila euro per l’istituto di Rocca Salimbeni. Il processo riguarda gli strumenti finanziari sottoscritti nel 2008-2009 da Mps con Deutsche Bank e Nomura per coprire le perdite dell’operazione Antonveneta quando la banca senese era guidata da Giuseppe Mussari e Antonio Vigni (condannati in primo grado, assolti nel procedimento ‘gemello’ in Appello con sentenza divenuta definitiva dopo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso della Procura generale in Cassazione).
Il pg aveva definito, durante la sua requisitoria d’appello, “grottesca” l’assoluzione del precedente management e mosso critiche anche alle autorità di controllo pubbliche (Bankitalia, Consob) e private (Ernst&Young) parlando di “colpevole connivenza” con testimonianze dei propri funzionari “inattendibili perché condizionate dalla paura di essere incriminati o citati per danni”. La sentenza di primo grado impugnata da Profumo, 66 anni, e Viola, 65, sarebbe al contrario “esemplare per lucidità e completezza argomentativa, avendo smontato con certosina precisione tutte le argomentazioni difensive”. Nel corso del processo d’appello il difensore di Profumo, avvocato Adriano Raffaelli, aveva parlato a più riprese di “errori marchiani” nelle sentenza di condanna e di “un surplus di trasparenza virtuoso nel dare piena contezza degli effetti della contabilizzazione” anche “a saldi chiusi” delle operazioni finanziarie ‘Alexandria’ e ‘Santorini’ da parte del management della banca.
Nelle ultime controrepliche degli avvocati, questa mattina, sono stati citati passi della recente sentenza della Corte civile d’appello di Milano che ha ‘assolto’ Mps e i suoi ex manager dalla richiesta di risarcimento da quasi 500 milioni di euro intentata dai fondi lussemburghesi che avevano investito in azioni della banca nel periodo 2012-2016. I giudici della prima sezione civile d’Appello (presidente Carla Romana Raineri) hanno escluso la “configurabilità di una condotta civilisticamente sanzionabile” sia per i crediti deteriorati (Npl), che per la contabilizzazione di Alexandria, quanto per l’iscrizione nell’attivo patrimoniale dell’acquisto dei Btp2034 del Tesoro italiano. La sentenza ha escluso sia “l’elemento oggettivo” del reato che quello della “colpa” mentre in primo grado il Tribunale di Milano aveva respinto la domanda risarcitoria dei fondi per mancanza del “nesso di causalità” (confermato anche in appello) ma considerato errata la contabilizzazione di Alexandria che avrebbe comportato il reato di false comunicazioni sociali al mercato.