La mezza marcia indietro decisa dal governo rispetto alla stretta sulle pensioni di alcune categorie di dipendenti e in particolare di medici e infermieri ridurrà di 9,1 miliardi i risparmi netti attesi per lo Stato dalla revisione delle loro aliquote di rendimento. Che nella prima versione della manovra ammontavano a oltre 21 miliardi di qui al 2043 e ora si fermano a 12. Come trovare le coperture? Posto che i maggiori costi si materializzeranno oltre la fine dell’attuale legislatura, concentrandosi anzi dopo quella successiva, il governo Meloni ha evidentemente pensato di lasciare la patata bollente nelle mani di chi verrà dopo. Prevedendo a partire dal 2033 tagli crescenti al finanziamento del Servizio sanitario nazionale: 3,2 miliardi in un decennio. Una nemesi, tra l’altro, per il personale del comparto che il 5 dicembre ha scioperato anche per protesta contro le insufficienti risorse stanziate per il Ssn.
Con l’emendamento depositato in Parlamento giovedì scorso il governo, come è noto, ha limitato la rideterminazione in peggio delle aliquote ai casi di pensionamento anticipato, escludendo quindi chi va in pensione di vecchiaia. E ha disposto che il taglio agli assegni sia ridotto – solo per medici e infermieri – di un trentaseiesimo per ogni mese di rinvio dell’uscita dal lavoro. Le due categorie, dunque, potranno evitare la penalizzazione rimandando la pensione di tre anni. Di conseguenza si consente loro di rimanere in servizio anche oltre i 67 anni di età, fino al compimento dei 70.
A chiarire la complessa geometria che deriva dagli effetti di questa modifica su entrate e uscite è la relazione tecnica del provvedimento, bollinata dalla Ragioneria generale dello Stato. Fatta salva una piccola riduzione (10 milioni di euro) delle risorse destinata al pensionamento dei lavoratori precoci, che si materializzerà già nel 2024, fino al 2032 i maggiori oneri verrebbero compensati quasi totalmente dall’impatto positivo derivante dalla possibilità di trattenimento in servizio fino ai 70 anni. Che secondo l’esecutivo consentirà di rimpinguare il Fondo per interventi strutturali di politica economica con 14 milioni di euro nel 2025, 42 nel 2026, 171 nel 2027, 309 nel 2028, 390 nel 2029, 464 nel 2030, 132 nel 2031 e 145 nel 2032. E così si arriva alla fine della XX legislatura, la prossima.
È da quel momento che i maggiori oneri inizieranno a farsi più pesanti, fino a toccare il mezzo miliardo di euro nel 2035 e salire a 1,1 miliardi nel 2043. Come fare per chiudere la falla? Per prima cosa si inizierà a ridurre progressivamente il finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard, appunto. Nel 2033 è prevista una sforbiciata di 84 milioni che salgono a 180 nel 2034, 293 nel 2035 e 340 annui dal 2036. Dallo stesso anno una mano arriverà anche dal maxi programma Regolazioni contabili, restituzioni e rimborsi d’imposte del ministero dell’Economia, quello a cui si attinge per i rimborsi fiscali: le risorse disponibili saranno riviste al ribasso di 49,5 milioni destinati poi a toccare quota 165 nel 2037, 266 nel 2038, 379 nel 2039, 477 nel 2040, 578 nel 2041, 700,9 nel 2042 e ben 789 nel 2043. Tagli che, come sempre, potranno essere revocati trovando altri soldi con cui tappare il buco. Ma se ne parla tra un decennio, quando a Palazzo Chigi e via XX Settembre ci sarà probabilmente qualcun altro.