Si può fare pallone con quattro soldi e un paio di buone idee. Si può giocare a calcio e non a calci, anche senza essere la squadra più forte. Si può sognare l’Europa pur essendo il “piccolo” Bologna. La morale della favola della Serie A è molto semplice: più giovani e meno vecchie glorie, più coraggio e meno catenaccio. Insomma, più Thiago Motta, meno Allegri e Mourinho.
Il Bologna quarto in classifica, in piena corsa per la Champions League, con la forza del bel gioco e i gol di Zirkzee, è un lampo di luce nel buio pesto del calcio italiano. Thiago Motta sta dando una lezione a tutti quelli del “prima non prenderle” e “vincere è l’unica cosa che conta”: a San Siro contro l’Inter, tanto per fare un esempio, è andato a giocarsela a viso aperto e non fare barricate, e proprio così è riuscito a portare punti a casa. A chi passa il post partita ma pure il prepartita a insultare arbitri e avversari. Ai colleghi che come unico piano di gioco hanno quello di non far giocare gli avversari. Ogni riferimento è puramente casuale, o forse no. Sembra paradossale dirlo oggi che Allegri è tornato (quasi) in vetta al campionato, e Mourinho è in linea con l’obiettivo stagionale. Ma provate voi a guardare una partita di Juve e Roma senza addormentarvi. La Serie A – un campionato vecchio, dove si respira un’aria stantia – ha bisogno di ciò che rappresenta Thiago Motta e che potrebbe tradursi in una sola parola: coraggio.
Ora il Bologna è così in alto in classifica, e lo è soltanto grazie alla sua filosofia, non certo per la qualità della rosa. Ma mettiamo pure che sia solo passeggero. Il Bologna con tutta probabilità non arriverà in Champions, e forse nemmeno in Europa League: ci sono troppe squadre e troppo più attrezzate per centrare l’Europa. Alla fine realisticamente potrebbe finire nono, decimo. Un campionato di metà classifica come lo hanno fatto tante altre squadre meno celebrate. Ma la differenza fra una stagione anonima ed una esaltante sta proprio nelle emozioni che si trasmettono. Nel coraggio con cui il Bologna gioca a calcio, e che fa venir voglia di vedere una sua partita. Che poi è il senso di questo sport, ciò che dà valore al prodotto.
Coraggio poi non significa solo giocare, ma anche guardare in avanti fuori dal campo. Come ha fatto ad esempio in estate il club, cogliendo la palla al balzo dell’offerta dell’Inter e scaricando il vecchio Arnautovic per scommettere tutto sul giovane Zirkzee. Una mossa che sembrava un azzardo (l’olandese l’anno scorso aveva fatto intravedere sprazzi di classe ma pochissima concretezza, c’era stato stupore anzi per la scelta di non prendere nessuno sul mercato) e invece ha pagato. Il Bologna ora si ritrova uno dei migliori prospetti offensivi d’Europa, che vale già decine di milioni. Anche grazie al gioco e alla mentalità di Motta, ovviamente. Mentre altre squadre si imbottiscono di vecchie glorie strapagate, perché i loro allenatori pretendono il grande nome sul mercato e non accetterebbero mai di lavorare su talenti sconosciuti, salvo poi lamentarsi perché sono sempre infortunati.
Il Bologna di Thiago Motta – come del resto avevano già fatto il Sassuolo di De Zerbi, l’Atalanta di Gasperini – traccia la via. Il pallone italiano deve ripensarsi. Lo deve fare soprattutto per sé stesso. Perché il tempo dei mecenati e delle stelle è passato e probabilmente non ritornerà più. Per rinascere, il nostro calcio deve puntare sulle idee. Giocare, emozionare. Inutile lamentarsi del divario con la Premier e delle cifre basse incassate dai diritti tv, se poi si è incapaci di evolversi. Un tifoso straniero che per caso avesse acceso la tv su una partita qualsiasi del Bologna quest’anno, si direbbe positivamente stupito. Forse persino divertito. Perché mai, invece, dovrebbe guardare uno Juve-Napoli qualsiasi, 90 minuti di calcioni e catenaccio decisi da un colpo di testa di Gatti? Alla fine, la lezione di Thiago Motta è tutta qui.