Cento anni fa gli squadristi in camicia nera di Mussolini bastonavano i tranvieri in sciopero, salivano sui tram, ne prendevano possesso e li facevano andare per le vie della città, mostrando trionfanti il loro successo contro i sovversivi nemici della Patria. Oggi il vicepresidente del governo di una Repubblica teoricamente antifascista, in realtà sempre più fascistizzata, interviene con la sua ordinanza numero 198 T per colpire lo sciopero del traporto pubblico locale del 15 dicembre.
Gli strumenti cambiano, ma il fine è sempre lo stesso, quello che da sempre costituisce l’anima più profonda del fascismo italiano, per la quale i lavoratori in lotta per i propri diritti sono i primi nemici. L’ordinanza di Salvini ha le stesse caratteristiche politiche e morali dello squadrismo di cento anni fa: è un’azione illegale e violenta e serve fare pubblicità reazionaria e d’ordine al suo estensore.
Lo sciopero del trasporto pubblico locale del 15 dicembre, indetto da tutti i sindacati di base, è la riprogrammazione di quello del 27 novembre, anch’esso colpito dalle ordinanze di Salvini. Le organizzazioni sindacali, per non sottostare al diktat del ministro dei Trasporti, avevano deciso di riconvocare la giornata di lotta, ottemperando a tutte le disposizioni di legge. Di una legge, la 146 del 1990, che con i successivi peggioramenti condivisi quasi sempre da Cgil-Cisl-Uil, è diventata una delle più restrittive normative anti sciopero dell’Occidente.
I sindacati di base avevano comunque indetto lo sciopero per il 15 dicembre nel rispetto delle fasce di garanzia e di tutte le norme di preavviso. Secondo le stessa Commissione di Garanzia, interpellata al riguardo, lo sciopero era perfettamente regolare. La stessa Commissione aveva però affermato di essere impotente di fronte ad una eventuale precettazione del ministro. Così vanno le cose di legge in Italia, la regolamentazione dello sciopero vale per i lavoratori e ed i sindacati, non per le loro controparti. Sì perché in questo caso il ministro dei Trasporti è sostanzialmente la controparte politica dei lavoratori del trasporto pubblico, dipendenti tutti di aziende a gestione, partecipazione o appalto pubblici. Ed infatti i manager strapagati delle aziende di trasporto si sono mostrati ben felici che il loro ministro colpisca lo sciopero dei loro dipendenti, così non saranno nemmeno costretti a fingere di aprire delle trattative.
I lavoratori del trasporto pubblico locale hanno paghe da fame, inferiori spesso ai 1400 euro al mese, per uno dei lavori più faticosi e nocivi. Avete presente come vi sentite quando siete imbottigliati nel traffico? Immaginate allora come si senta un conducente di mezzo pubblico che dentro quel traffico deve starci per ore e ore, tutti i giorni della settimana. Eppure il trasporto pubblico dovrebbero essere il primo investimento di un sistema che a parole è impegnato a ridurre l’inquinamento nelle città. Invece la mancanza di mezzi e personale rendono spesso il trasporto privato la via obbligata per spostarsi.
Un sistema che volesse davvero il bene dei cittadini, avrebbe come priorità spendere soldi per migliorare davvero il trasporto pubblico e le condizioni di chi ci lavora. Questo dovrebbe essere il primo impegno di un ministro dei Trasporti. Invece Salvini colpisce chi lotta contro il degrado dei servizi di cui egli è responsabile. Questo nella peggiore tradizione reazionaria delle classi dirigenti italiane, che hanno sempre coperto le proprie magagne colpendone le vittime. E hanno poi giustificato i propri ignobili comportamenti alimentando la guerra tra i poveri: utenti contro lavoratori, giovani contro pensionati, italiani contro migranti.
L’ordinanza del vicepresidente del Consiglio si conclude con la minaccia di pesanti sanzioni per i lavoratori ed i sindacati che non obbediranno ad essa e con la richiesta alle aziende della consegna dei “ nominativi dei dipendenti che eventualmente non abbiano rispettato la disposizione”. Qui il fascismo antisciopero del governo Meloni mostra tutta la sua violenza intimidatoria, il suo squadrismo istituzionale.
La sola libertà che Meloni e Salvini intendono davvero tutelare, come era chiaro sin dalle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio, è la libertà d’impresa. Tutti gli altri diritti e le altre libertà vanno sottoposte e sacrificate ad essa. La libertà d’impresa è liberticida, per questo liberismo economico e fascismo politico oggi sono sempre più alleati.
Rifiutare i diktat di Salvini non è soltanto la difesa di un sacrosanto diritto dei lavoratori, ma la riaffermazione dei principi della Costituzione, sempre più negati dall’autoritarismo padronale. Contro l’ordinanza tutti i sindacati di base hanno deciso il ricorso al Tar e la Usb ha annunciato la formale disobbedienza, pur lasciando liberi i lavoratori di evitare multe colossali, e una manifestazione a Roma il 15 dicembre.
Sono scelte coraggiose che vanno sostenute e diffuse, perché il tempo delle parole e delle condanne impotenti è finito. O si reagisce davvero, o il fascismo antisciopero del governo si estenderà a tutto.