Un segnale forte, una sostanza ancora debole. È la prima volta che in un testo della Conferenza delle parti sul clima è incluso il termine ‘combustibili fossili’ (solo due volte, mentre non compare mai la parola petrolio), ma non si menziona il phase-out (uscita), richiesto da 127 Paesi su 198 (compresa l’Ue). Due i passaggi chiave, “Transitare fuori dai combustibili fossili” e accelerare “l’azione in questo decennio critico”, che hanno allontanato lo spettro dell’ultima bozza definita da molti “deludente” e “offensiva” del primo Global Stocktake, il bilancio globale sulle azioni intraprese e da intraprendere per evitare il collasso climatico. Il testo più importante tra quelli concordati alla Conferenza delle Parti sul clima. Per alcuni un “accordo storico”, per altri un “compromesso storico” che, su diversi punti fondamentali, non riesce ad andare oltre gli ostacoli. Così si chiude la Cop 28 di Dubai, nel petro-Stato degli Emirati Arabi, quella delle polemiche legate ai conflitti di interesse dello stesso presidente, Sultan Al-Jaber. E dove, pur essendoci stata massima convergenza di idee contro il carbone, a iniziare dallo slancio Usa, alla fine non si sono fatti progressi contro il combustibile fossile più inquinante di tutti. All’alba è stato pubblicato il nuovo testo del Global Stocktake, risultato di consultazioni che sono andate avanti fino a notte fonda, con l’obiettivo di modificare la versione precedente, inaccettabile per molti Paesi, a iniziare da quelli che già stanno pagando a caro prezzo gli effetti del riscaldamento globale e che si sono rifiutati di firmare “la loro condanna a morte”. In mattinata, la plenaria con l’annuncio di Al-Jaber che ha presentato il nuovo testo e ha definito l’accordo “storico”, appunto: “Per la prima volta in assoluto abbiamo scritto combustibili fossili nel testo”. Diversi delegati si sono alzati in piedi e si sono abbracciati fra loro. Ma, come Al-Jaber stesso ha sottolineato, “siamo ciò che facciamo non quello che diciamo, quindi sono importanti le azioni che metteremo in campo”. E non c’è più tempo per prolungare la fine dei combustibili fossili.

Non c’è più il linguaggio delle opzioni, ma restano dubbi sulle tempistiche – Il testo del Gst riconosce “che è necessario limitare il riscaldamento globale a 1,5°C senza superarlo o con un superamento limitato” e che questo “richiede riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni globali di gas serra pari al 43% entro il 2030 e al 60% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019, raggiungendo zero emissioni nette entro il 2050”. Il picco massimo di emissioni di carbonio dovrà essere raggiunto entro il 2025, ma si lascia un margine di manovra a singoli Paesi, come la Cina, per raggiungere il picco più tardi. Al paragrafo 28, si abbandona il linguaggio delle pure opzioni da suggerire ai Paesi che aveva caratterizzato l’ultima bozza e si riconosce, invece, “la necessità di riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra” e si invitano le parti “a contribuire ai seguenti sforzi globali, secondo modalità determinate a livello nazionale, tenendo conto dell’accordo di Parigi, dei diversi contesti, percorsi e approcci nazionali”. I nuovi Ndc, contributi determinati a livello nazionale per il 2035, saranno presentati tra novembre 2024 e febbraio 2025 e dovranno essere più ambiziosi di quelli precedenti. A questo scopo viene disegnata una “Road map to mission 1.5C” per rafforzare la cooperazione internazionale, in vista della Cop 23 in Brasile. Secondo Linda Kalcher, direttore esecutivo di ‘Strategic Perspectives’ la presidenza della Cop 28 “non può affermare di aver mantenuto il target di 1,5°C. Questo accordo – spiega – è ancora pieno di lacune, manca di tempistiche e non riesce a fornire il sostegno di cui la maggior parte della popolazione mondiale avrà bisogno per finanziare la rapida transizione ora necessaria”.

Il passaggio storico sui combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) – Nell’ultima bozza pubblicata lunedì non si menzionava né il phase down, né il phase out chiesto da 127 Paesi (e che compariva tra le opzioni contenute nelle bozze precedenti) ma si scriveva “reducing”, riduzione graduale (e non eliminazione graduale) del consumo e della produzione di combustibili fossili “in modo giusto, in modo ordinato ed equo così da raggiungere lo zero netto entro, prima o intorno al 2050 in linea con la scienza”. Nel testo definitivo, invece, si parla di “transitioning away” dai combustibili fossili nei sistemi energetici “in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050, in linea con la scienza”. Due le novità: l’utilizzo di un linguaggio di compromesso, che non è il “phase out” che 127 Paesi chiedevano, ma è una transizione che porti all’abbandono e non una mera riduzione. Ma il passaggio forse più significativo è il riferimento temporale a questo decennio. La base c’è, mancano – e già si sapeva – vincoli per gli Stati (almeno per quelli che possono fare di più), peccato originale che ha caratterizzato anche l’Accordo di Parigi e che si trascina Cop dopo Cop. “Restano due velocità, un distacco ancora molto evidente tra scienza e politica” commenta Serena Giacomin, presidente di Italian Climate Network. E aggiunge: “Certo, occorrerebbe camminare svelti senza indugio applicando le ampie conoscenze che la scienza ci offre con evidenze esplicite ormai da decenni. Ma, se dal punto di vista scientifico restano insoddisfazione e preoccupazione” dal punto di vista politico la Cop 28 compie un passo importantissimo: la menzione esplicita approvata da quasi 200 Paesi del mondo alle fonti fossili e alla necessità impellente di un abbandono del loro utilizzo da parte di tutti”.

Dalle rinnovabili al carbone – Per quanto riguarda le altre azioni, restano quella di “triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030”. Non ci sono riferimenti a quantificazioni, così come volevano Cina e India. Cambia qualcosa sul fronte del carbone. Nel testo si invita ad “accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia prodotta dal carbone ‘unabated’”, ossia quella che produce emissioni che non vengono abbattute. Scompare, in questo caso, l’aggettivo ‘rapida’ riferito a riduzione. Resta, invece, l’esclusione degli impianti le cui emissioni vengono abbattute con tecnologie come la cattura, lo stoccaggio e l’utilizzo di carbonio. E questo è un passaggio sgradito a diversi Paesi, ma che va incontro a molti altri Stati. Per alcune ong si tratta di un ritorno a quanto concordato alla Cop 26 di Glasgow e, invece, proprio sul carbone questa è la Cop che poteva lasciare in eredità una maggiore ambizione.

L’enigma delle tecnologie a basse emissioni – Altro passaggio è quello sull’accelerazione nelle tecnologie a zero e a basse emissioni. E c’è di tutto: energie rinnovabili, nucleare, tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura e l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio, in particolare nei settori difficili da abbattere (hard to abate) e la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio. In questi giorni di Cop, scienziati di tutto il mondo hanno fatto notare che tecnologie come nucleare e cattura e stoccaggio di carbonio comportano diversi limiti, soprattutto se si vuole agire – come il documento finale del bilancio globale sottolinea – già da questo decennio. Nel testo, in effetti, si fa riferimento al fatto che la CCS deve essere utilizzata soprattutto nei settori dove le emissioni sono difficili da abbattere, ma resta il fatto che si aprono le porte al carbone.

Tra passaggi storici e ombre – Secondo il co-direttore del think tank Ecco, Luca Bergamaschi “il testo pone basi solide per la fine dell’era dei combustibili fossili, puntando su rinnovabili ed efficienza energetica. Ci vorrà molto più supporto finanziario, da parte di pubblico e privato, per supportare tutti i paesi nella transizione. Ma la via è tracciata”. Per Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, l’accordo rappresenta un timido passo avanti su cui, però, ora i Paesi devono dimostrare azioni decise, senza più tentennamenti o inspiegabili rinvii”. “L’era dei combustibili fossili è al capolinea – scrive Greenpeace – ma questo non è l’accordo storico di cui il mondo aveva bisogno, troppe distrazioni pericolose e mezzi insufficienti”. Dal Brasile, il commento di Marcio Astrini, segretario esecutivo per il paese di Climate Observatory, secondo cui il segnale è stato dato, ma dal punto di vista della sostanza la strada è ancora lunga. “Il governo brasiliano dovrà assumere un ruolo guida fino al 2024 – spiega – e gettare le basi per un accordo COP30 a Belem che aiuti le comunità più povere e vulnerabili del mondo. Si può iniziare – suggerisce – ritirando la promessa di aderire all’Opec, il gruppo che ha tentato senza riuscirci di far naufragare questo vertice”.

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