Lo avevamo detto in tanti che organizzare la Cop28 a casa del lupo ne avrebbe influenzato inevitabilmente gli esiti, e così purtroppo è stato.
Il focus a Dubai è stato sull’Arabia Saudita, che ha guidato la resistenza contro l’eliminazione dei combustibili fossili alla Cop28. Accuse di pressioni su Sultan al-Jaber sono emerse chiaramente, con la vicepremier spagnola Teresa Ribera in testa che ha criticato il comportamento disgustoso dei paesi OPEC, il gruppo di Paesi produttori ed esportatori di petrolio. Una novità è stata sicuramente l’ascesa di una coalizione dichiaratamente proattiva a favore dei fossili, segnalando un cambiamento di atteggiamento rispetto al passato quando l’OPEC si muoveva più silenziosamente contro le minacce alla produzione di petrolio e gas, rispetto ad adesso che è arrivato ad accusare l’AIE (Agenzia Internazionale per l’Energia) di destabilizzare i mercati e portare verso una crisi energetica futura. Il toro che dice cornuto all’asino, si direbbe a casa mia.
La Cop28 di Dubai è stata un’occasione tanto attesa quanto frustrante, con l’ambizione iniziale che si è tramutata in una mescolanza di rabbia e delusione. Gli Emirati Arabi avevano presentato una bozza di accordo che aveva cancellato il concetto di ‘phaseout’ dei combustibili fossili, sostituendolo con un enigmatico impegno per la “riduzione del consumo e della produzione” di idrocarburi al fine di raggiungere “l’azzeramento delle emissioni nette entro, prima o intorno al 2050”.
Questa mossa, un compromesso al ribasso, era stata interpretata come una concessione alle ricche petromonarchie del Golfo, con l’Arabia Saudita in testa. Tuttavia, tale proposta non aveva soddisfatto né il fronte favorevole allo stop ai combustibili fossili, né l’Alleanza degli Stati insulari, i più vulnerabili all’emergenza ambientale, quelli che stanno inesorabilmente scomparendo sott’acqua. Il ministro delle Risorse naturali delle Isole Marshall, John Silk, l’aveva definita “semplicemente irricevibile”, affermando che per il suo arcipelago rappresentava una “condanna a morte”.
La bozza aveva anche ricevuto critiche da parte di Europa e Stati Uniti, entrambi delusi e determinati a rafforzare il capitolo sul contrasto alle fonti fossili. Una difficile opera di mediazione durata giorni ha portato ad un testo finale di chiusura Cop28 che ha introdotto la nuova formula “transitioning away” per ridurre gli idrocarburi. Votata sì all’unanimità ma segnale inequivocabile che c’è una parte ancora potente di umanità che non ha capito che sta camminando nel vuoto come il famoso cartone di Willy il Coyote. E decisamente fumosa nelle sue applicazioni concrete.
Nel nostro percorso verso una sostenibilità globale, la COP28 si è quindi rivelato un capitolo controverso, evidenziando le sfide e le contraddizioni che permeano la lotta contro i cambiamenti climatici. Mentre riflettiamo su questi sviluppi ed il nostro Pianeta, la nostra casa, diventa ogni giorno più ostile, è essenziale che la comunità politica internazionale affronti con decisione la necessità di azioni immediate e coraggiose per un futuro sostenibile per l’umanità. Altrimenti saremo tutti Willy il Coyote…