“La comunità internazionale ci avverte di un disastro umanitario a Gaza e di gravi epidemie. Non dobbiamo esimerci da questo, per quanto difficile possa essere”. Ad evocare epidemie per il popolo palestinese è Giora Eiland, ex funzionario delle Idf, le forze armate israeliane, e uno degli attuali consiglieri del ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant. Con una carriera militare di tutto rispetto alle spalle, Eiland è stato anche comandante della divisione Operazioni e pianificazione militare oltre che capo del Consiglio di sicurezza nazionale. Qualche giorno fa sul quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth è comparso un suo editoriale in cui espone la propria posizione sulla guerra a Gaza. “ll modo per vincere la guerra più velocemente, e a un costo inferiore per noi, richiede un collasso dell’altra parte e non la semplice uccisione di altri combattenti di Hamas”, scrive Eiland che prosegue nel suo articolo paragonando Gaza alla Germania nazista, il cui crollo “all’inizio del 1945 fu dovuto principalmente alla perdita dei giacimenti petroliferi in Romania, e quando la Germania non ebbe più abbastanza carburante per i suoi aerei e carri armati – la guerra fu vinta”.
Sembra questa la strategia che Israele, secondo Eiland, dovrebbe continuare a mettere in campo: lasciare Gaza priva di qualsiasi mezzo di sostentamento. Tagliare luce, acqua, aiuti umanitari per indurre Hamas – o forse tutto il popolo palestinese- ad arrendersi. Eiland è convinto infatti che non ci sia differenza tra il popolo palestinese e il gruppo terroristico che per anni lo ha soggiogato. “Israele non sta combattendo contro un’organizzazione terroristica, ma contro lo Stato di Gaza. Lo Stato di Gaza è infatti sotto la guida di Hamas, e questa organizzazione è riuscita a mobilitare tutte le risorse del suo Stato – scrive Eiland – il sostegno della maggioranza dei suoi cittadini e l’assoluta lealtà della sua amministrazione civile, intorno alla leadership di Sinwar (leader di Hamas, ndr), sostenendo pienamente la sua ideologia”.
Eiland non è un militare qualsiasi. Appartiene, infatti, ad una cerchia ristretta di ex militari e consulenti creata dal ministro della Difesa Yoav Gallant per eludere la catena di comando ufficiale. Tutti lo chiamano “think tank strategico”, ma non tutti nell’esercito apprezzano il coinvolgimento degli ex ufficiali, uomini fidati di Gallant che – secondo i media israeliani – spingono per il proseguimento del conflitto con l’obiettivo di annientare Gaza e un allargamento del fronte di guerra. Tant’è che la scorsa settimana parlando ai sindaci del nord, il ministro della Difesa israeliano ha lasciato intendere che le sue forze potrebbero presto aprire un secondo fronte settentrionale per respingere Hezbollah al confine con il Libano. E questo nonostante la preoccupazione più volte manifestata dal segretario alla difesa statunitense Lloyd Austin per una possibile escalation sul fronte libanese. Insomma, da una parte c’è chi parla di una guerra contro gli islamisti, dall’altro c’è chi invece propende più per una soluzione che somiglia maggiormente alla pulizia etnica.
Dopo la fine della tregua si è ricominciato a combattere una guerra che – stando alle parole di Eiland – non si intende continuare solo con le bombe ma anche con un annientamento totale dell’altra parte. “Una guerra tra Stati non si vince solo con i combattimenti militari, ma anche con la capacità di una parte di rompere il sistema statale della controparte, la capacità economica, e in primo luogo la capacità di fornire energia, è in questo della massima importanza”. Lo stesso Gallant all’inizio della guerra parlava di “creazione nella Striscia di una nuova realtà di sicurezza sia per i cittadini di Israele sia per gli stessi abitanti di Gaza”, aggiungendo che uno degli obiettivi è la “rimozione della responsabilità di Israele per la vita a Gaza”. Secondo Euro-Med Human Rights Monitor l’Idf ha detenuto e maltrattato decine di civili palestinesi nel nord della Striscia di Gaza, mentre i media israeliani hanno diffuso foto di prigionieri bendati, spogliati e con le mani legate che, stando a quanto affermato dal portavoce dell’Idf Jonathan Conricus alla Cnn, sarebbero “combattenti di Hamas che si sono arresi”. Ma sempre alla Cnn alcuni dei familiari delle persone raffigurate nelle foto hanno riconosciuto i propri parenti che sarebbero civili senza alcuna affiliazione ad Hamas. E pochi giorni dopo è stato lo stesso Idf a rilasciare 60 delle 100 persone trattenute che nulla avevano a che fare con gli jihadisti. Intanto – secondo il ministero della Sanità di Gaza- il numero di civili palestinesi morti nei bombardamenti ha superato i 17mila mentre quelli israeliani sono oltre 1500.