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Il dossier dell’Alleanza contro la povertà: “Il 50% di chi percepiva il Reddito resterà senza sostegno. Si rischia un milione di indigenti in più”

“L’Assegno di inclusione? Le nostre previsioni sono peggiori di quelle dell’Ufficio parlamentare di bilancio, il 50% delle persone che hanno beneficiato del Reddito di cittadinanza rischiano di esserne escluse. Considerato come il Supporto formazione lavoro (Sfl) abbia una durata limitata, il pericolo è che si crei una platea di nuovi poveri, che potrebbe crescere addirittura ancora di un milione“. A denunciarlo l’Alleanza contro la povertà, che raccoglie al suo interno 35 tra associazioni, sindacati e Ong, nell’anniversario dei dieci anni dalla nascita.
In attesa che l’AdI parta dal primo gennaio 2024, dall’agosto scorso oltre 300mila persone hanno già perso il Reddito di cittadinanza perché il governo le considera occupabili. Avrebbero dovuto ricevere almeno i 350 euro del nuovo Supporto formazione e lavoro (Sfl), ma la nuova piattaforma nazionale – al di là delle smentite della ministra del Lavoro Marina Calderone non funziona, nessuno dà risposte e i soldi non arrivano. Tradotto, la riforma del Reddito di cittadinanza del governo Meloni ha già condannato migliaia di persone alla fame, che si aggiungono a chi si trovava già in grande difficoltà: “Dalla fine del 2013, quando Alleanza contro la povertà è nata, fino a oggi i numeri della povertà assoluta sono cresciuti costantemente. La gravità della situazione e il trend negativo di crescita dei livelli di povertà relativa e assoluta sono confermati dal Rapporto Istat e dal Rapporto Caritas, sui dati del 2022. Nel frattempo, si sono avvicendate, in questi 10 anni, ben cinque misure di contrasto: segno che una soluzione strutturale non si è ancora trovata, ma è quanto mai necessaria e urgente. A fronte di una povertà che si strutturalizza e rischia di cronicizzarsi, le vere assenti sono le politiche strutturali di contrasto alla povertà”, conferma Antonio Russo, portavoce di Alleanza.
E ancora: “Con l’introduzione del Rei da parte dell’allora governo Gentiloni era passato il principio per cui le misure contro la povertà non possono che essere universalistiche. Dopo il Reddito di cittadinanza, misura verso la quale avevamo segnalato diverse criticità, ma che ha comunque riguardato una platea di soggetti molto ampia e per il quale sono stati investiti il massimo delle risorse, si è tornati con il governo Meloni e con la riforma che introduce l’Assegno di inclusione a un declassamento verso una misura categoriale”. Tutto mentre i numeri certificano come il numero dei poveri assoluti oggi in Italia abbia raggiunto una quota intorno ai 6 milioni e come siano in aumento le nuove fragilità.
“Il governo Draghi decise di non raccogliere le osservazioni del comitato ministeriale presieduto da Chiara Saraceno, né quelle prima fatte dalla stessa Alleanza contro la povertà. La riforma introdotta dal governo Meloni non smantella il sostegno ai poveri, ma lo indebolisce. Tanti aspetti problematici del Rdc potevano essere risolti, a partire dalla mancata indicizzazione della prestazione all’inflazione, ma non è stato fatto. Si migliora riguardo la modifica del criterio di residenza, si introduce un rudimentale in-work benefit con una franchigia di 3mila euro. Ma le criticità sono tante: la scala di equivalenza irrazionale, con situazioni simili trattate in modo differente. Rimandi complicati tra Adi e Sfl che comporteranno esclusioni, un’offerta congrua molto restrittiva“, spiega Stefano Sacchi, coordinatore del comitato scientifico di ACP.
“Abbiamo proposto otto emendamenti per provare quantomeno a migliorare l’Assegno di inclusione, potrebbero essere incorporati nella manovra: una modifica della scala di equivalenza, un abbassamento ulteriore da 5 a 2 anni del requisito di residenza minimo, un allineamento dell’offerta congrua a quella già in vigore per la Naspi”, si spiega dall’Alleanza contro la povertà. Certo, le speranze per le modifiche in Aula sono in realtà nulle.
“Rischiamo che chi oggi è in povertà relativa collassi verso il basso, vada in povertà assoluta. Questo problema non si risolve colpevolizzando i poveri, che sono invece le vittime. Questo è un processo culturale pericolo, va combattuta questa deriva”, conclude Russo.