Più tempo ai Comuni ritardatari per fissare le aliquote Imu. Con il risultato che i contribuenti, in alcuni casi, rischiano di dover pagare una nuova rata entro febbraio. È il risultato di un emendamento dei relatori alla manovra in base al quale solo per il 2023, in deroga alla normativa vigente, le delibere regolamentari e di approvazione delle aliquote e delle tariffe sono tempestive se inserite nel portale del federalismo fiscale entro il 30 novembre 2023. Di conseguenza, il termine per la pubblicazione delle delibere, ai fini dell’acquisizione della loro efficacia, è fissato al 15 gennaio 2024. Se le nuove aliquote comporteranno una differenza positiva tra le nuove aliquote e l’imposta versata al 18 dicembre, i contribuenti saranno di nuovo chiamati alla cassa entro il 29 febbraio 2024, senza sanzioni e interessi. Nel caso emerga una differenza negativa il rimborso è invece dovuto secondo le regole ordinarie. Si tratta di un assist per i circa 200 comuni che non hanno presentato nei tempi previsti la delibera sul calcolo dell’Imu 2023.

Secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, “è vergognoso che si voglia dare più tempo ai Comuni ritardatari per fissare le aliquote Imu, calpestando i diritti dei contribuenti”. Viene infatti contraddetto il principio dello Statuto del contribuente in base al quale al cittadino va dato un congruo preavviso prima che scatti l’obbligo del pagamento. “L’art. 3 dello Statuto del contribuente, ossia della Legge 27 luglio 2000, n. 212”, ricorda Dona, afferma “non solo che ‘relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono’, ma anche che ‘le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti’. Peccato che tra il 15 gennaio e il 29 febbraio non ci siano 60 giorni, violando la ratio della norma”, conclude Dona.

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