Una novità in libreria per gli amanti dei motori e dei personaggi iconici è il libro “Michael Schumacher, l’uomo dietro la visiera”. Autore Alfredo Giacobbe, pubblicato per la collana Vite Inattese della casa editrice 66THAND2D. Il volume (256 pagine, 20 euro) racconta l’epopea del campione tedesco, dagli squattrinati esordi sui kart ai trionfi con Benetton e (soprattutto) Ferrari fino al mesto declino con la Mercedes, scavando in profondità sulle diverse sfaccettature del personaggio Schumacher. Di seguito viene presentato un brano del libro, per gentile concessione della casa editrice, relativo al Gran Premio del Giappone del 2000, gara che ufficializzò il primo titolo mondiale di Schumacher con la Ferrari.

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È una partita che si gioca sui particolari, in bilico su un filo sottilissimo mentre si viaggia in tondo a una media di 200 chilometri orari. James Allen, che è appostato tra il box della Ferrari e quello della McLaren, riferisce che quella tra Michael e Mika è una delle battaglie sportive più dure a cui abbia mai assistito. «La Mc-Laren è senza dubbio la macchina migliore di tutte» tiene a sottolineare Murray Walker al commento, mentre in pista Michael prova a restare aggrappato con le unghie alla scia di Mika. Quando si arriva alla prima sosta per il rifornimento, Häkkinen ha messo da parte un vantaggio di due secondi e quattro. Michael resta in pista per un giro in più, assaggia per la prima volta dall’inizio della corsa l’aria pulita di Suzuka. Ciò che guadagna nel giro a pista libera lo perde durante una sosta più lenta, rientra ancora alle spalle di Mika. Nessuno dei due piloti ha alternative, devono spingere fino al limite e oltre, sperare che i nervi dell’altro cedano o che in pista cambi qualcosa.

Da est arriva una brezza umida, gocce di pioggia trasportate dal vento, le avanguardie di una tempesta che ingrossa il mare color del vino. Nella traiettoria in cui passano le macchine si forma una patina appiccicosa, è il pedaggio degli pneumatici che cedono gomma all’asfalto un giro dopo l’altro. La pioggia vaporizzata si deposita sulla traiettoria, l’asfalto di centimetro in centimetro è ora più scivoloso, ora più aderente. Michael accetta questo regalo dal cielo offrendo il suo cuore, si getta a capofitto all’inseguimento di Mika, che non è altrettanto disposto a rischiare l’osso del collo quanto il suo avversario. Il tempo sul giro di Häkkinen sale per la prima volta sopra la soglia dell’1:40 e in quattro tornate Schumacher con la sua Ferrari gli arriva negli scarichi. Il secondo rifornimento è il momento decisivo, Häkkinen imbocca la corsia dei box quando vede il traffico dei piloti doppiati davanti a sé. È tutto nelle mani di Michael, ha benzina nei serbatoi per fare ancora tre giri, ma sono tre giri maledetti. Il doppiaggio di Irvine e di Herbert, due suoi ex compagni di squadra, lo costringe a un primo giro lentissimo, intorno all’1:42. Nel secondo giro è Häkkinen il più lento, ma sull’ala posteriore di Michael compaiono le trecce di Berenice, i vortici di aria pannosa che sono sintomo di una sola cosa: l’umidità nell’aria sta aumentando, sta arrivando la pioggia. Un acquazzone in quel momento metterebbe Michael fuori dai giochi.

Nel terzo giro guadagna ancora mezzo secondo sul finlandese, ma al momento di rientrare ai box trova una Benetton di traverso nella corsia di decelerazione. Michael scarta a sinistra ed evita l’incidente per un soffio – quanto tempo avrà perso nella manovra? La sosta orchestrata da Stepney ed eseguita dai suoi uomini è perfetta: cambio pneumatici e rifornimento in soli sei secondi, un secondo in meno della sosta della McLaren di tre giri prima. «Dovessi campare mille anni non dimenticherò mai la comunicazione via radio di Brawn. Sotto il casco ero disperato. Dov’era Mika? Sentii Ross che mormorava: “Sembra buono”, ma ancora non riuscivo a capire. Quanto buono?». Michael torna in pista davanti a Mika, è primo e ha un vantaggio considerevole, quasi un intero rettilineo. Se resiste in testa altri dodici giri sarà campione del mondo e il titolo piloti tornerà a Maranello, ventun anni dopo il trionfo di Jody Scheckter del 1979. Corinna segue la gara nella pancia dei box, il mento alto verso i monitor appesi al soffitto. Stacca gli occhi dalle immagini televisive e si guarda intorno. Sul fondo del garage ci sono uomini rincantucciati contro il muro, i più anziani tra i meccanici e gli inservienti. Piangono nascondendo il volto tra le mani. Corinna pensa di aver travisato ciò che ha visto in tv, forse qualcosa che a lei è sfuggito è andato storto e il Mondiale è perduto ancora una volta.

«All’improvviso mi sono sentito intrappolato nella macchina, come se stessi per bruciare. Mi sono sentito così felice. Ho vinto dopo tanti anni di delusioni. Ero in lacrime ed era come se stessi seduto accanto a me stesso, a guardare a quello che accadeva. Era come se fossi qualcun altro». Michael taglia il traguardo, batte forte i palmi delle mani aperte contro lo sterzo. Se potesse, pianterebbe lì la monoposto e tornerebbe a piedi dai suoi meccanici. È attraversato da un’emozione gigantesca, da condividere con quante più persone possibile, non la si può gestire da soli, rischia di ammazzarti. Al rientro ai box, le prime mani che stringe fuori dall’abitacolo sono quelle di Mika Häkkinen: «Mi sento triste. Però alle volte per essere un buon vincente devi anche essere un buon perdente». Lungo la via che conduce al podio, Schumacher e Todt si abbracciano più volte. Trasfigurato e come in sogno, Jean rivela a Michael il loro futuro: per noi niente sarà più come prima.

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