Proviamo a fare un po’ di ordine. Nel ‘22 la campagna elettorale, come nelle migliori tradizioni, ha dedicato alla scuola un’attenzione proporzionale al disinteresse registrato in questo ambito ad elezioni concluse. E, come nelle migliori tradizioni, i salari dei docenti sono stati oggetto di inaudite dichiarazioni, promesse da Pinocchio: ci siamo abituati.
Il 7 giugno 2022, a un paio di mesi dalla campagna elettorale, Matteo Salvini annunciava la sua ricetta: “Pagare di più gli insegnanti, i peggio pagati d’Europa”. In piena campagna elettorale, al meeting estivo di Comunione e Liberazione, tutti d’accordo, futura opposizione e futura maggioranza: occorre avvicinare i salari dei docenti italiani a quelli europei. Il 25 ottobre 2022 Giorgia Meloni – nel corso dell’intervento alla Camera per esporre le linee programmatiche del governo – afferma testualmente: “Lavorare sulla formazione scolastica, per lo più affidata all’abnegazione e al talento dei nostri insegnanti, spesso lasciati soli a nuotare in un mare di carenze strutturali, tecnologiche, motivazionali” e promette a sua volta l’adeguamento degli stipendi dei docenti italiani a quelli europei. Veniamo poi al ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, quello che ha aggiunto la parola “merito” al nome del dicastero, quello del valore dell’umiliazione degli studenti, quello dello stigma alla preside di Firenze per la sua lettera contro il Fascismo.
Valditara, durante il suo mandato, ha infinite volte parlato di “ridare autorevolezza alla figura dell’insegnante” equiparando gli stipendi a quelli dei colleghi europei. Ma è stato lui, lo scorso gennaio, a tirare fuori per primo la questione delle gabbie salariali. Le sue dichiarazioni ebbero un’eco talmente negativa, che il ministro fu costretto a smentire, tentando peraltro di accreditarsi come paladino del riscatto del Sud. Intanto, lo scorso novembre la Lega ha presentato un disegno di legge per l’adeguamento degli stipendi al costo della vita. È di questi giorni, infine, l’ultimo atto di questa (non tanto) ambigua vicenda: durante la discussione sul salario minimo, la Lega ha proposto un ordine del giorno, che rilancia la questione della differenziazione degli stipendi tra Nord e Sud. Il provvedimento, presentato da Andrea Giaccone, è stato approvato dalla maggioranza.
Il governo, rappresentato dal sottosegretario leghista al Lavoro, Claudio Durigon, ha espresso un parere favorevole. C’è poi da considerare l’emendamento Rizzetto che, cancellando il ddl Conte e altri sul salario minimo, al comma 2 lettera d dell’art. 1, prevede una contrattazione articolata per adeguare i salari al costo della vita sui diversi territori, un’altra via per introdurre le gabbie salariali. Sebbene gli ordini del giorno approvati in Aula abbiano un valore principalmente di indirizzo, è evidente che l’approvazione dell’ordine del giorno e l’ulteriore provvedimento segnino un passo significativo per la Lega, che pone un altro tassello nel suo percorso programmatico di emancipazione della locomotiva del Nord dalla zavorra del Sud.
Come è noto, il percorso verso la realizzazione dell’autonomia differenziata, ovvero verso diritti differenziati a livello regionale, o – come recita il titolo di un fortunato libro di Gianfranco Viesti – Verso la secessione dei ricchi, sta procedendo veloce. Conclusa la discussione in I commissione Affari Costituzionali, il testo approderà tra non molto nell’aula del Senato. Si tratta di riconoscere potestà legislativa esclusiva (cioè tutto) alle regioni a statuto ordinario su 23 materie, tra cui la scuola. L’odg Giaccone si inscrive perfettamente in questo progetto, di cui peraltro il ministro Valditara – in quota Fratelli d’Italia – è grande sostenitore. Le pre-intese del Veneto, la bozza del pre-accordo tra regione Veneto e governo relativamente alla scuola prevede:
1) – 2) Norme generali sull’istruzione – Istruzione:
Sono attribuite alla Regione del Veneto le competenze legislative e amministrative dirette a:
1. consentire l’ottimale governo, la programmazione, inclusa la programmazione dell’offerta formativa e della rete scolastica – compresi l’orientamento scolastico, la disciplina dei percorsi di alternanza scuola-lavoro – la programmazione dell’offerta formativa presso i Centri Provinciali Istruzione Adulti e la valutazione del sistema educativo regionale, in coerenza con gli elementi di unitarietà del sistema scolastico nazionale e nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche;
2. disciplinare l’assegnazione di contributi alle istituzioni scolastiche paritarie con le correlate funzioni amministrative;
3. regionalizzare i fondi statali per il sostegno del diritto allo studio e del diritto allo studio universitario;
4. regionalizzare il personale della scuola, compreso il personale dell’Ufficio scolastico regionale e delle sue articolazioni a livello provinciale.
In poche parole, contratti (il CCNL sarà affiancato da contratti regionali, individuando parti diverse tra eguali e stemperando ulteriormente le già labili capacità conflittuali), organico, ruoli, valutazione, mobilità e trasferimenti, offerta formativa, formazione dei docenti finalità e obiettivi, disciplina e finanziamenti delle scuole private, modalità di PCTO. La conseguente abrogazione del valore legale del titolo di studio getterà definitivamente ciascuna istituzione scolastica sul mercato. L’ufficio scolastico regionale definirà come, perché e cosa insegnare. La libertà di insegnamento, prevista dal c. 1 art. 33 Cost., principio fondamentale della tutela dell’interesse generale, del pluralismo, della democrazia, costituirà solo un enunciato retorico. Avendo tra le sue prerogative anche la determinazione della parificazione, il processo di privatizzazione della scuola potrà andare avanti indisturbato.
La creazione di 20 sistemi scolastici a marce differenti (perché determinati sulla base del gettito fiscale erogato in ciascuna Regione) segnerà inevitabilmente il passaggio da una scuola organo dello Stato, unitario e garante di un livello di istruzione analogo in tutte le regioni italiane, a un sistema a marce differenti e differentissime, configurando – di conseguenza – cittadini di serie A e di serie B: gli ultimi della società non avranno più alcuna speranza che la Repubblica, attraverso la scuola, organo costituzionale, rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona.
A questo punto sorgono due considerazioni, oltre le tantissime violazioni anche di carattere costituzionale che una eventuale differenziazione dei salari dei docenti sulla base della regione di appartenenza configurerebbero.
La prima: Fratelli d’Italia – nonostante qualche mal di pancia appena accennato – non ha esitato a barattare il sostegno al proprio progetto di premierato con quello dell’autonomia differenziata. Si tratta di un tradimento evidente non solo dei propri principi fondativi, ma del patto stipulato con gli elettori del Sud, che in moltissimi hanno votato quel partito, individuando – a torto o a ragione – nel Dio, Patria e Famiglia una potenziale garanzia per il miglioramento delle proprie condizioni. Cosa pensano le/i docenti del Sud – i cittadini e le cittadine del Sud, minacciati/e da un analogo possibile provvedimento, qualsiasi lavoro svolgano – del consenso che il governo ha dato alla proposta della Lega?
La seconda: davanti al pericolo imminente di una reale secessione dei ricchi, di un aumento delle diseguaglianze, di diritti diversi sulla base del certificato di residenza, tutti i soggetti politici, sindacali, associativi che ancora non hanno preso una posizione netta e uniforme contro l’autonomia differenziata stanno assumendosi una responsabilità enorme: quella di non contrastare in maniera inequivocabile l’eversione della Repubblica e dei suoi principi fondativi. I balbettii, le titubanze e – soprattutto – il non assumere questa come la vertenza più significativa e urgente relativa alla politica interna, motivati ora dal timore di perdere consenso al Nord, ora da una sottovalutazione della questione, rimarranno stampati nella memoria di tutti coloro che hanno davvero a cuore l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti.