Le indagini erano state riaperte ed erano stati interrogati diversi testimoni nella primavera dell’anno scorso. Ma la nuova inchiesta sulla morte di Simonetta Cesaroni, uccisa con 29 coltellate il 7 agosto del 1990, in un appartamento di via Poma a Roma, va verso l’archiviazione. Il fascicolo era stato aperto dopo un esposto presentato dai familiari. A riaprire le indagini la pm Ilaria Calò, lo stesso magistrato che sostenne l’accusa contro Raniero Busco, l’ex fidanzato della vittima condannato a 24 anni nel 2011 e assolto definitivamente In Cassazione. Nel corso dell’indagine sono stati ascoltati una ventina di testimoni e sono stati rianalizzati gli atti dei processi svolti negli anni. Al termine degli accertamenti non sono emersi elementi utili per proseguire. I parenti della vittima a novembre hanno depositato a piazzale Clodio un nuovo esposto.
L’assassino non è mai stata identificato. Indagini, processi e un infinito numero di piste investigative non sono riusciti a dare un nome a chi uccise in modo brutale l’allora ventenne in un appartamento al terzo piano di uno stabile nel cuore del quartiere Prati, nell’ufficio dell’Associazione alberghi della gioventù. Tre anni fa alla procura, nel 30° anniversario dell’omicidio, l’avvocata di parte civile aveva rivolto un appello agli inquirenti: “Resta il dolore e restano tanti dubbi: il pm dia segnali, le indagini potrebbero essere riaperte”. L’assassinio di via Poma aveva detto “rappresenta una sconfitta per tutto il sistema giudiziario italiano, una sconfitta per lo Stato. Bastava qualche approfondimento in più ma ciò non è stato fatto”. Mondani citava alcuni misteri irrisolti legati al caso. Ad esempio il morso trovato sul corpo di Simonetta, per cui la famiglia ha sempre chiesto che si facesse una nuova perizia.
L’inchiesta nel corso del tempo – Fra gli indagati della prima inchiesta era finito Salvatore Volponi, datore di lavoro della Cesaroni, poi archiviato dopo alcuni mesi di indagini. E nel 1992 Federico Valle che abitava nel palazzo di via Poma e secondo i pm nella notte del delitto aveva ospitato Vanacore. Valle venne tirato in ballo dalle dichiarazioni dell’austriaco Roland Voller, amico di sua madre, secondo cui la donna gli avrebbe confidato che il figlio, proprio il 7 agosto, tornò sporco di sangue da via Poma. Un anno dopo Valle viene prosciolto per non aver commesso il fatto e Vanacore perché il fatto non sussiste. Al centro dei nuovi accertamenti anche un sospettato che già all’epoca dei fatti finì nel mirino degli investigatori. Chi indaga ha ascoltato anche l’allora dirigente della Squadra Mobile, Antonio Del Greco che mesi fa avrebbe raccolto la testimonianza di una donna che avrebbe smentito l’alibi di uno dei personaggi finiti nelle indagini svolte in passato.
La commissione antimafia – L’attività dei pm ha viaggiato parallela con quella della commissione parlamentare antimafia della precedente legislatura che ha effettuato una istruttoria sul caso. Nelle risultanze dell’attività svolta i parlamentari affermano che il portiere dello stabile, Pietro Vanacore poi morto suicida, “scoprì il cadavere” di Simonetta Cesaroni “ore prima dell’ufficiale ritrovamento del corpo”. A detta della commissione vi fu una attività “post delictum, intesa ad occultare il fatto omicidiario o quantomeno a differirne la scoperta, oppure persino ad attuare un qualche proposito di spostamento della salma dal luogo in cui fu poi rinvenuta”. Per i parlamentari “resta ragionevole credere che l’omicida fu persona che aveva un notevole livello di dimestichezza con lo stabile, se non proprio con l’appartamento. Si deve essere trattato di persona che poteva contare su un rapporto di confidenza con la vittima o che era in grado di approfittare della fiducia di Simonetta o quantomeno, in via subordinata, di non indurla in sospetto o in allarme, trovandosi a tu per tu, in situazione di isolamento”.
E ancora: “rimane estremamente probabile che l’omicida sia di gruppo sanguigno A, perché sarebbe altrimenti poco spiegabile che a tale gruppo sanguigno debbano essere ricondotte le macchie ematiche rinvenute su interno, esterno e maniglia della porta della stanza dove venne ritrovato il cadavere”. Delle molte ipotesi “avanzate per spiegare questa risultanza degli esami sui reperti ematici, tutte comunque risultano conducenti nell’identificare il sangue repertato nell’appartamento come quello dell’omicida, magari anche frammisto a quello della vittima. Appare altamente probabile che l’aggressore si sia ferito nella colluttazione e nella ancor più feroce e violenta dinamica omicidiaria”, scrive nell’atto conclusivo la commissione.