Poca partecipazione ai negoziati (ma tanta negli accordi sulle fonti fossili), assenza nei momenti decisivi nella lotta al cambiamento climatico e commenti fuorvianti. Così si può sintetizzare la presenza dell’Italia (e il suo peso politico) alla Conferenza delle Parti sul clima che si è appena conclusa a Dubai. Un ruolo divenuto via via più marginale dopo l’arrivo nei primi giorni della Cop della premier Giorgia Meloni e l’annuncio di un finanziamento di 100 milioni di euro per il fondo Loss&damage. Uno dei più consistenti a dire il vero, anche se non è ancora chiaro da dove verranno prese queste risorse. Poi, però, quasi più nulla. Nonostante a Dubai ci fosse una squadra di tecnici inviati dal governo che, però, quando si tratta di negoziare hanno le mani legate. Il dato è saltato all’occhio negli ultimi giorni in una cruciale assemblea che il presidente della Cop 28 ha chiamato ‘Majlis’, termine arabo per indicare una riunione in cui si confronta per arrivare a un accordo. Solo che a quella riunione ‘strategica’ dove erano presenti i ministri coinvolti in prima linea nei negoziati, quello italiano non c’era. Al posto di Gilberto Pichetto Fratin c’era la viceministra dell’Ambiente, Vannia Gava. E non è la stessa cosa se ci si trova in un meeting di alto livello alla Cop.
Non è solo una questione di conoscenza della lingua inglese che Pichetto decisamente non mastica, ma anche di competenze sul clima, background e posizioni politiche. Basti pensare che, dopo la pubblicazione dell’ultima bozza del Global Stocktake, mentre i Paesi europei la definivano “deludente” Pichetto commentava a Sky TG24: “Sarebbe da stupirsi se l’Opec, che rappresenta i Paesi produttori e venditori di petrolio, non tutelasse i propri interessi”. L’ultima, poi, sul nucleare: per Pichetto, ma anche per il vicepremier Antonio Tajani, il documento su cui è stato raggiunto l’accordo finale si concentra – tra l’altro – sull’atomo. Certamente lo cita (ed è la prima volta), ma non è certamente su quello che si concentra il testo di 21 pagine approvato da quasi duecento Paesi.
Il ruolo marginale dell’Italia alla Cop, come lo scorso anno – Ma il ruolo marginale dell’Italia ai negoziati non è una novità. A Sharm el Sheikh nessun ministro italiano aveva partecipato ai negoziati. E anche in quel caso Pichetto Fratin aveva abbandonato la Conferenza delle Parti giorni prima, dopo aver dichiarato che l’Italia propendeva “per uno strumento ridotto” rispetto a quello del fondo Loss&damage. E lasciando la rappresentanza dell’Italia nelle mani dell’inviato speciale per il cambiamento climatico, all’epoca Alessandro Modiano. Ex ambasciatore dell’Italia in Egitto, Modiano era stato nominato a gennaio dagli ex ministri Luigi Di Maio e Roberto Cingolani, proprio per accompagnare il Paese nel percorso che l’avrebbe portato alla Cop 27, ma non aveva un ruolo politico come quello di John Kerry per gli Usa. E come è andata quest’anno? La premessa è d’obbligo: negli Emirati Arabi l’Italia ha più di un interesse. A iniziare dal progetto da 13 miliardi di dollari per lo sfruttamento di due nuovi giacimenti di gas naturale che coinvolge Saipem del gruppo Eni e Maire Tecnimont. È stato proprio al-Jaber ad accogliere a marzo 2023 la premier e il ministro degli Esteri Antonio Tajani ad Abu Dhabi per firmare una dichiarazione sulla cooperazione rafforzata nell’ambito della Cop 28 con Tajani, nelle stesse ore in cui il sultano firmava un accordo di cooperazione con l’ad di Eni, Claudio Descalzi. Facile intuire che a Dubai l’Italia avesse da mantenere un equilibrio che fa a pugni con posizioni più ambiziose.
Il ministro dell’Ambiente assente nei momenti cruciali – In queste settimane si è parlato del fatto che Pichetto Fratin, non conoscendo l’inglese, potesse incontrare difficoltà a partecipare attivamente ai negoziati. Ma non è solo questo. Il ministro di Forza Italia è un politico di lunga esperienza. Commercialista, ex viceministro dello Sviluppo economico, non può contare però su esperienze su tematiche ambientali e climatiche. E poi si tratta anche di obiettivi politici. Per la Germania, quest’anno, alla Conferenza sul clima c’erano la ministra tedesca dei Verdi Steffi Lemke e la ministra degli Esteri Annalena Baerbock, che ha partecipato alle ultime dieci Cop. Per la Spagna c’era la viceministra Teresa Ribera, dirigente del dipartimento della sezione clima del ministero dell’ambiente spagnolo fin dal 2004. Anche il ministro britannico Graham Stuart ha lasciato la Cop prima del rush finale, tanto da scatenare una polemica, come ha raccontato il Guardian, ma poi ha chiarito che la sua assenza era momentanea e dovuta al voto che doveva dare in Parlamento. E l’Italia? A conferenza chiusa il ministro Pichetto ha ringraziato quanti “hanno lavorato in queste ore senza sosta per raggiungere l’accordo, contribuendo in maniera decisiva alla sua definizione – ha detto – partendo dal viceministro Vannia Gava, dal capo negoziatore Federica Fricano (quella con più esperienza nei negoziati sul clima, ma pur sempre con un ruolo tecnico, ndr) e il team di altissimo livello giunto dal ministero a Dubai, dall’inviato per il Clima Francesco Corvaro”. Che, però, in fatto di leadership politica non ha potuto di più rispetto a Modiano. Né lo ha potuto fare la squadra nel suo insieme. Mentre il team è rimasto a Dubai, però, Pichetto era andato via e non era neppure presente quando a Dubai si discuteva di temi fondamentali per il futuro del pianeta.
L’inciampo di Pichetto e Tajani nei commenti all’accordo – Infine, l’ultima uscita: sia Pichetto Fratin sia il vicepremier Antonio Tajani hanno rilasciato dichiarazioni sostenendo che l’accordo affidi un ruolo importante a nucleare, biocarburanti e idrogeno. “Tra i tanti risultati apprezzabili – ha detto Pichetto – vi è il riconoscimento di un ruolo chiave per il nucleare e l’idrogeno. Di particolare importanza anche l’evidenza che si è data alla necessità di ridurre le emissioni nei trasporti, con veicoli a zero e basse emissioni, nei quali rientrano anche i biocarburanti, grazie alla riconosciuta mediazione italiana nel coordinamento europeo”. Parole che suonano “fuorvianti” all’orecchio di Luca Bergamaschi, co-direttore del think tank Ecco. Mentre sul punto è intervenuto anche Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs. “Il testo non menziona in alcun modo un ruolo chiave per nucleare e idrogeno, come affermato dal ministro – ha detto – ma relega queste opzioni a un generico ruolo e, soprattutto, secondario rispetto ai chiari e forti impegni su rinnovabili, efficienza energetica e batterie che il testo sottolinea esplicitamente come le tecnologie chiave, quelle più economiche e disponibili oggi”.