Sono passati quasi sei mesi da quando il ddl che ratifica la riforma del Mes è arrivato per la prima volta nell’Aula di Montecitorio. Era il 30 giugno, il giorno dopo il via libera in Commissione Esteri, dove il testo (presentato dai deputati dem Simona Bonafè e Piero De Luca) era passato con i soli voti di tre partiti di opposizione (Pd, Italia viva e +Europa), mentre la maggioranza aveva disertato la seduta. Da allora il leitmotiv parlamentare è stato sempre lo stesso: il centrodestra si è prodotto in spericolate tattiche dilatorie al fine di rimandare il più possibile l’ok al “nuovo” Meccanismo europeo di stabilità, approvato nel 2021 dai rappresentanti dei governi dell’Eurozona (ecco cosa cambia rispetto alla versione originaria). Il motivo? L’imbarazzo ideologico di Lega e Fratelli d’Italia, che hanno sempre attaccato il fondo salva-Stati dell’Ue come strumento simbolo dell’austerity e dei “poteri forti”. L’inerzia italiana si è protratta talmente a lungo da diventare un caso: da quasi un anno, infatti, il nostro è rimasto l’unico Stato-parte a non aver ratificato le modifiche al Trattato (l’ultima a farlo è stata la Croazia, a marzo 2023), bloccando così di fatto la sua entrata in vigore.

La “melina” della maggioranza alla Camera inizia il 5 luglio, alla seconda seduta dedicata al ddl: esaurita la discussione generale, i quattro capigruppo del centrodestra (Tommaso Foti per FdI, Riccardo Molinari per la Lega, Paolo Barelli per Forza Italia e Maurizio Lupi per Noi Moderati) presentano una questione sospensiva che chiede di rinviare l’esame di quattro mesi (ma l’ala più oltranzista avrebbe preferito un anno). “A seguito dei recenti cambiamenti nel contesto internazionale” e “considerato che si è ancora in una fase di attesa di quelle che potranno essere le nuove regole del Patto di stabilità europeo” (in discussione proprio in questi giorni a Bruxelles), “si ritiene opportuno procedere con maggiori approfondimenti”, recita il testo. “Non è una fuga dal problema ma un modo per affrontarlo nei tempi giusti, nei modi giusti e con le giuste condizioni”, prova a sostenere il deputato di Fi Andrea Orsini, mandato a illustrare la posizione della coalizione in Aula. Tra le polemiche delle opposizioni, la sospensiva passa con 195 favorevoli e 117 contrari: se ne riparla in autunno inoltrato.

I quattro lunghi mesi passano e la conferenza dei capigruppo inserisce di nuovo il provvedimento all’ordine del giorno del 23 novembre, sesto di sette punti (dopo ci sono solo le mozioni del centrosinistra sulla Cop 28). “Se è calendarizzato si discuterà”, assicura la premier Giorgia Meloni a chi teme un ulteriore slittamento. Detto fatto: alla vigilia della seduta i capigruppo riformulano il calendario e il Mes sparisce. Ricompare nell’ordine del giorno del 14 dicembre, dopo che l’Eurogruppo (il summit dei ministri dell’Economia della zona euro) ha strigliato l’Italia esprimendo “la speranza” di una rapida approvazione. Ma arrivati al dunque il centrodestra si inventa una strategia inedita, l’auto-ostruzionismo: nella seduta di mercoledì 13, la discussione sugli ordini del giorno al dl Anticipi si trasforma in una sfilata infinita di interventi di deputati della maggioranza, che “allungano il brodo” con l’obiettivo di arrivare al rinvio dell’esame, inserito anche stavolta al penultimo posto dell’odg.

Missione compiuta: il Mes slitta ancora, questa volta a martedì 19 dicembre, quando (in teoria) si dovrebbe discutere, sì, ma soltanto dopo l’informativa del ministro Crosetto sui presunti complotti di magistrati, la legge sulla concorrenza, la relazione della giunta delle autorizzazioni sulle intercettazioni di Cosimo Ferri, la legge di delegazione europea e le modifiche al codice penale in materia di illeciti agroalimentari. Se, com’è probabile, la votazione slitterà anche al prossimo giro, si entrerà in sessione di Bilancio e i lavori parlamentari – almeno per due settimane – saranno monopolizzati dalla manovra. Insomma, se ne riparlerà (forse) nel 2024. Quando il governo dovrà trovare altri espedienti.

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