È il 1963, l’anno dell’uccisione di Kennedy, della tragedia del Vajont. La gente passa il tempo leggendo le riviste (“Le condizioni di Gino Paoli, dopo che si è sparato al cuore per amore della giovane Stefania Sandrelli, migliorano, ma il proiettile non potrà essere estratto”), guarda la tivù in bianco e nero, va in giro in bicicletta oppure, se ha soldi, sulla Simca; e la sera nei bar gli uomini bevono Cynar oppure Vecchia Romagna, il brandy (come recitava la pubblicità) “che crea un’atmosfera”.
E l’atmosfera del 1963 – in un lembo nebbioso di Emilia, con al centro il piccolo paese di Gorino – si respira leggendo il romanzo di Paola Rambaldi Dalle nove a mezzanotte, Clown Bianco Edizioni.
Il romanzo potrebbe rientrare nel genere giallo, o nero. In realtà non ha colore e a tratti la scrittura – vivace, con un giusto dosaggio di umorismo – rammenta quella di Guareschi. Paola Rambaldi s’inventa un personaggio che è l’anti-personaggio per eccellenza. Si chiama Brisa, è alta e bruttarella, soprattutto per gli occhi dal colore diverso: una azzurro e uno castano. Insomma, in luoghi dove ci son famiglie che si chiamano Corpodicristo e Avemaria c’è anche lei, una strega (la stria) che lavora da un dentista e che legge passato e disgrazie future delle persone strofinando una ciocca dei suoi capelli sulle fotografie. Le mamme ai figli si raccomandano di starle alla larga: no, non è né cattiva né pericolosa. Ma porta sfiga.
Il 1963 e Brisa nel romanzo vanno a braccetto. La Rambaldi ce li presenta così.
Brisa, trent’anni, un metro e settantacinque, con faccia lunga e naso gobbo, non si poteva sicuramente definire una bellezza, ma il fisico dal collo in giù era notevole e osservandola in costume il guercio avvertì un curioso rimescolio allo stomaco; e non solo.
Quella sera la rivide per cena sulla verandina del Mokambo e prese posto al suo fianco per prolungare quel curioso languore che gli tormentava la pancia.
Qualcuno dopo cena fece partire al jukebox Che cosa c’è di Gino Paoli.
Che cosa c’è, c’è che mi sono innamorato di te…
A Brisa, pagina dopo pagina, tra omicidi efferati e pedofili, ci si affeziona: perché non è stupida, perché non è cattiva, perché con gli uomini è maldestra, perché si fa gli affaracci suoi. Oddio, non sopporta i parenti e le strafiche, ma nessuno è perfetto.
Sta di fatto che sugli episodi delittuosi che avvengono (qualche assassino senza pretese abbiamo anche noi in paese, direbbe De Andrè) Brisa ne sa più dei carabinieri. Ma non risolve casi. Vede, vive, e come dicevamo, ci riporta al clima di quegli anni: alle pubblicità di Carosello, ad alcuni fatti di cronaca, alle canzoni (da Mina, Tenco ai Beatles e al gettonatissimo Gino Paoli), alle trattorie (specificando piatti e prezzi) e anche agli usi e tradizioni e credenze di un’Italia povera (non tutti avevano il telefono in casa), contadina e pettegola, ma da ricordare con nostalgia.
La scrittura della Rambaldi ha una peculiarità: riesce a rendere semplici e scorrevoli pagine dove fatti e fattacci s’ingarbugliano, e il meglio di sé lo dà nei dialoghi. Un libro, insomma, che ha un doppio pregio: si fa leggere e diverte. Come Guareschi, appunto.
Paola Rambaldi (Castello di Serravalle, Bologna) ha iniziato a scrivere racconti partecipando a concorsi letterari, vincendone una sessantina in quattro anni. Ha pubblicato il romanzo “Brisa” e diversi racconti in riviste e antologie. Scrive di libri su Libroguerriero e Carmilla.
“Dalle nove a mezzanotte”, Clown Bianco Edizioni, è il suo secondo romanzo.