di Barbara Pettirossi
Durante la puntata di Otto e mezzo di ieri giovedì 14 dicembre, si è parlato dell’egemonia della cultura di sinistra e della necessità percepita dalla destra di sradicare questa presunta superiorità.
Quale genere di cultura propongono gli esponenti di Fratelli d’Italia? Lo chiedo perché, posto che – si dice – il fascismo non tornerà e posto che non tutta la cultura di destra è fascista, sarebbe forse giunto il momento di chiarire agli italiani quale sia l’effettivo contenuto del “nuovo manifesto” della cultura di questa destra che ci governa, al di là dei programmi di partito non rispettati e dei proclami, magari toccando tematiche più ampie di quelle dei concorsi letterari e dei salotti, monopolizzati secondo Italo Bocchino dalla sinistra. Mentre attendiamo che si chiariscano le idee, vorrei cercare qualche suggerimento non da poco in una raccolta di racconti di Primo Levi pubblicata nel 1975 da Einaudi, “Il sistema periodico”.
Si sa, Primo Levi era un chimico e fu proprio la sua chimica a farlo sopravvivere nel campo di concentramento. In questa raccolta sono ventuno elementi della tavola di Mendeleev a ispirare i racconti autobiografici e non solo. Qui la chimica è sinonimo di conoscenza della materia ma anche – dice Levi – di se stessi. La chimica è ricerca razionale e metodica di un senso, nella natura e nella vita. Ciò che colpisce, in particolare, è il fatto che Primo Levi contrapponga il piglio del cacciatore (“Siamo chimici, cioè cacciatori”) che non si accontenta, che indaga, sperimenta, si sporca le mani, sbaglia e riflette sui suoi errori, che ha il coraggio di percorrere nuovi sentieri, alla postura del fascismo che aveva offerto una “verità rivelata e non dimostrata”.
Di questo si parla nei racconti: non degli orrori e dei dolori provocati dal nazifascismo, per i quali Levi rimanda a “Se questo è un uomo”; ma di un male più sottile e subdolo, precedente alla guerra e alle deportazioni, che vorrebbe spacciare per verità assunti non dimostrati, ma così altisonanti da sembrare l’unica via percorribile. Lo scienziato della vita si contrappone al “profeta invasato” che sa “che le sue affermazioni non gli verranno contestate” come se la sua verità gli sia stata rivelata “da Geova sul Sinai, anzi, da Wotan sul Walhalla”.
Questo mondo non ha proprio più bisogno di verità rivelate, perché è un fatto che le affermazioni apodittiche hanno gettato le fondamenta di costruzioni ideologiche aberranti. Nel passato e, purtroppo, anche nel presente. Quello che accade oggi in Ucraina, in Palestina e in altri paesi è anche la conseguenza di una propaganda che ha come unico scopo l’esercizio del potere. Perché, se solo si riflettesse davvero un istante sul fatto che qualsiasi risultato ottenuto sarà stato il frutto di migliaia di morti, se solo si lasciasse da parte il fracasso della tifoseria, ci si renderebbe conto della follia che queste guerre incarnano e della disperazione che lasceranno in eredità alle prossime generazioni. In una pace costruita sulle macerie umane non c’è alcun senso, né conoscenza, né cultura. E’ una pace nata morta.
Infine, non abbiamo bisogno di idee astratte come “Dio, patria e famiglia”, termini intorno ai quali sono stati scritti fiumi di parole dall’antichità a oggi da pensatori illustri, eppure senza mai arrivare a conclusioni definitive e assolute. Che ogni individuo si occupi del suo dio senza prevaricare quello degli altri, una buona volta. Trasformiamo la patria in una nazione matura in cui le Istituzioni vengano rispettate per quello che sono, luoghi di dibattito politico e democratico, non palcoscenici su cui interpretare il proprio show. E lasciamo che siano gli individui a decidere chi amare nell’ambito delle rispettive libertà.
Dunque, tolti gli slogan e i messaggi promozionali, quale tipo di cultura dovrebbe guidarci? A quali esempi dovremmo ispirarci?