Incontro molti piccoli imprenditori i cui sogni diventano spesso incubi. Nonostante il tasso di fallimento delle piccole imprese dopo dieci anni sia del 70% circa, molti di loro ritengono che pensare, avviare e dirigere una azienda sia una bella sfida, e hanno ragione. Ma la parte più dura non sta, come spesso accade, nello sviluppare la tecnologia e il modello del business. Sta nel far crescere le loro capacità di leadership.

La scoperta principale che ho fatto in questi anni è stata che in una piccola impresa crescere assieme al business richiede di acquisire in fretta competenze del tutto nuove. Quello che si chiede ai leader delle piccole imprese sta mutando rapidamente e loro continuano a camminare su vecchie strade. Finora, a un capo d’azienda si chiedeva di sviluppare in primo luogo la visione d’insieme per elaborare le strategie dell’azienda. L’esecuzione delle strategie veniva poi affidata a collaboratori affidabili, che dovevano interpretare e realizzare al meglio le indicazioni strategiche. Oggi, però, è sempre meno così. Le due anime dello stratega e dell’esecutore si stanno fondendo in una figura unica, l’esecutore strategico. Non è un ossimoro, ma una realtà necessaria di fronte al ritmo travolgente delle disruption.

Ci si aspetta che siano umanisti esperti di tecnologie, politici di specchiata probità, eroi modesti, localisti dalla mentalità globale e innovatori amanti della tradizione. Si potrebbe aggiungere che devono seguire gli sviluppi dell’economia dentro e fuori il loro Paese, conoscere le normative più rilevanti, mostrare sensibilità per i temi della sostenibilità e della diversity, perseguire gli interessi degli altri soci ma anche degli stakeholder e non perdere di vista l’evoluzione degli eventi politici mondiali per non andare a fare investimenti inopportuni in aree potenzialmente a rischio. Per tutto questo una laurea o un master non bastano, ma nemmeno una sola vita, potrebbero appunto occorrerne sette. Ma quello che risalta ancora più evidente, in termini negativi, è che i capi delle piccole aziende godono della loro solitudine. Anche perché è difficile apprendere nuove competenze quando i tuoi più stretti collaboratori (che hai scelto sempre tu!) stanno lì, in silenzio, a guardare e a valutare mentre infili la serie di stupidi errori che sono inevitabili in qualunque processo di crescita.

Il modo migliore per rispondere a questa realtà è guardare a quello scrutinio come ad un patrimonio da valorizzare. Mungete tutti gli input che potete. Abbracciate quelle valutazioni a 360 gradi e imparate dai vostri colleghi e riporti diretti. Trovatevi un mentore che vi guidi. E ingaggiate un coach che vi aiuti a gestire tutte le vostre faccende a sviluppare le vostre skill. Diventare un buon capo di azienda richiede una formidabile autoconsapevolezza. Esige di capire come gli altri vivono, vi percepiscono e vi rispondono. È un viaggio assai intenso.

Ho sperimentato che le chiavi per il successo sono queste: essere affamati di conoscenza e di voglia di migliorare, avere la disponibilità per essere vulnerabili e condividere le debolezze così come i punti forti, e reagire con prontezza per allinearvi con la vostra organizzazione quando lavorate duro per raddrizzare situazioni difficili. Una cosa che rende, però, questo processo particolarmente difficile riguarda quella condizione per cui, mentre può essere appagante svilupparsi come manager, essere un semplice player è anche più divertente. Ricordo, nella mia precedente esperienza manageriale, di aver detto una volta a un mio capo illuminato che stavo diventando più efficace ma che mi divertivo sempre meno a mano a mano che il business cambiava. La sua risposta fu lapidaria: “Tu, testa di c…., non ti rendi conto che il tuo lavoro è quello di gestire le cose peggiori affinché chiunque altro in azienda possa essere produttivo e contento?”.

Le aziende devono passare dalla competizione con i rivali alla cooperazione con i concorrenti (coopetazione), per creare valore in modi che nessuna organizzazione riesce a gestire da sola.

I leader devono essere disposti a mettere in discussione ogni aspetto della loro azienda: lo scopo, il modello d’impresa, il modello operativo, il personale e se stessi. E i concetti tradizionali in materia di gestione devono essere ribaltati. I dirigenti devono abbandonare l’idea di concentrarsi sulla propria sfera di competenza e rispondere alle esigenze che sgorgano dal basso.

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