Nell’intervista che Arianna Rapaccioni ha rilasciato al Corriere della Sera a un anno dalla scomparsa di suo marito Siniša Mihajlović c’è amore, forza. 27 anni di matrimonio e cinque figli, Rapaccioni racconta: “Solo in quest’ultimo mese sto prendendo coscienza del fatto che mio marito non c’è più. I primi mesi, non capivo più nulla, stavo a Roma, dove mi ero stabilita quando i figli hanno iniziato le superiori, e avevo come la sensazione che Siniša fosse ancora vivo e stesse a Bologna ad allenare la squadra”. E ci sono state alcune “sensazioni da chiedermi se ero pazza” che Rapaccioni descrive così: “Ho sentito delle mani sulle mie mani, proprio delle mani che avvolgevano le mie. E, una notte, l’ho sentito stendersi accanto a me nel letto, ho avvertito il materasso che sprofondava da una parte. Poi, ho cominciato a parlare con altre persone che hanno subito un lutto e ho scoperto che non ero io pazza, ma che queste esperienze appartengono a molti. Io sentivo il rumore delle sue ciabatte in cucina. Lui, in casa, portava sempre ciabatte che scricchiolano tanto. È successo nei primi mesi, ora non più. Ma forse erano suggestioni dettate dal pensiero costante che ho di lui. Penso a Siniša qualunque cosa faccio. Se conosco delle persone mi chiedo se gli sarebbero piaciute, se mi capita qualcosa, penso a cosa avrebbe detto lui”. Non guardava su Internet, Sinisa, voleva solo sapere come curarsi e fino alla fine ha sperato: “Se qualcuno gli chiedeva cos’aveva, diceva: amo’ che malattia ho? Mi chiamava così: amore. E io: hai la leucemia mieloide acuta. Siniša non leggeva i referti, non guardava su Internet, voleva solo sapere quali cure fare. Ha sperato fino all’ultimo di guarire. Ha lottato come un leone, ha fatto cure allucinanti, due trapianti, una cura sperimentale tostissima… “.