“Ho girato oltre 30 Paesi. Ho studiato in Canada, Francia e Sud Corea e lavorato in Romania, Filippine e Australia, ma alla fine ho deciso di rientrare per aprire la mia azienda, che volevo nascesse in Italia”. Luca Mastella ha 34 anni ed è originario di Ferrara. È rientrato a Milano nel marzo del 2019 per lanciare la sua startup, dal titolo “Learnn”, una piattaforma di e-learning che ha un modello di business simile a Netflix. Il posto fisso? “I giovani sono sempre più alla ricerca di libertà e indipendenza, preferendo mettersi in proprio, anche se – avvisa – può essere molto difficile farlo”.
La prima vita di Luca inizia come giocatore professionista di basket, all’interno della squadra di Forlì in serie B1, dall’alto del suo metro e 92 centimetri e di ruolo guardia. Dopo l’infortunio al tendine d’Achille, però, l’obiettivo diventa quello di concludere gli studi in economia all’università e poi, nel 2013, partire per andare all’estero, per frequentare un master in Canada, Francia e Sud Corea nel settore del business. Una vita su e giù da un aereo che lo porta a cambiare, ad un certo punto, continente ogni tre mesi: Luca lavora tra Romania e Filippine, fin quando non arriva in Australia, a Sydney. Un modo per ambientarsi e spostarsi molto velocemente, per scoprire e imparare quante più cose possibili. “Ho lavorato principalmente in multinazionali come Gameloft e Rocket Internet e di notte, in Australia, ne approfittavo per sentire alcune startup e clienti europei”, racconta a fatto.it. Sydney è più costosa di Milano, certo, ma gli stipendi sono “tre volte tanto”, aggiunge.
Dopo 7 anni trascorsi all’estero, nel 2019 Luca decide di rientrare a Milano per lavorare a un progetto tutto suo. È così che è nata la piattaforma, senza cercare investimenti iniziali e gestendo tutto da remoto, perché “le persone migliori non si trovano tutte in un’unica città, soprattutto dopo il covid”. Pensare di rendere accessibili corsi in un unico abbonamento, in un mercato come quello dell’apprendimento, che è costellato di offerte a centinaia o migliaia di euro, era un pensiero abbastanza suicida. “Nella mia vita in Italia non ho mai avuto la possibilità di prendere decisioni, di avere responsabilità al 100%, di sbagliare: sentivo il desiderio di tornare e di cambiare tutto questo, di partire da solo, di fare errori e di crescere”.
Una settimana prima del lancio, dopo tre mesi di lavoro insieme ad altri due sviluppatori, c’è stato l’arrivo del Covid (“l’errore più comune è quello di partire sentendosi perfetti”, sorride). Tutto, così, viene posticipato al termine del primo lockdown. I corsi, i software, i testi, nei primi mesi gli strumenti sono fatti in casa: sono sei i corsi disponibili e pochi gli iscritti. Oggi il team conta 12 persone, tra marketing, contenuti, videomaker e sviluppatori, e una banca video di oltre 220 corsi a disposizione di 120.000 professionisti che vogliono specializzarsi. In un certo senso, spiegano, la pandemia ha “avuto ricadute positive nel lungo periodo, perché ha favorito lo sviluppo della tecnologia”.
Aprire una startup in Italia per Luca significa accettare la sfida verso il proprio Paese. Per ora non c’è nessuna intenzione di ripartire, perché c’è tantissimo da fare qui. La situazione in Italia è ambivalente, continua il giovane imprenditore: da un lato ci sono “team fortissimi sullo sviluppo del marketing e dei siti”, dall’altro c’è “chi vede la tecnologia solo un modo per ottimizzare il proprio sito e basta”. Come ogni italiano andato all’estero, poi, Luca si porta dietro la consapevolezza di quanto sia “fantastico” il suo Paese rispetto agli altri, ma tiene in considerazione anche tutto quello che non funziona. “Amo l’Italia e riconosco tutto quello che mi ha dato, ma non per questo la vedo senza difetti”, aggiunge.
Il consiglio che si sente di dare, oggi, ad un giovane in Italia è quello di fare un’esperienza all’estero di 3-5 anni e poi decidere se tornare a portare le proprie competenze nel proprio Paese. Anche perché non esiste il lavoro perfetto o quello ideale. C’è da costruirselo con le proprie competenze, giorno dopo giorno: “Non bisogna aver paura di partire – continua –. Anzi, è bene sapere che le persone cui spesso ci ispiriamo o che tendiamo a emulare hanno attraversato difficoltà a volte più grandi delle nostre, sono partiti da un punto molto più basso rispetto al posto che oggi occupano”.
Il ragazzo partito quel lontano 20 agosto del 2013 è tornato con un bagaglio di esperienze che lo hanno arricchito e la voglia di indossare le vesti dell’imprenditore. “Il vero lavoro di un imprenditore è quello di creare qualcosa che non esiste, anche attraverso l’immaginazione”, sorride. A 34 anni, oggi, Luca ha un obiettivo: “Sono tornato per digitalizzare l’Italia, una persona e un’azienda alla volta”, conclude. Lasciare l’Italia da ragazzo per lui è stato obbligatorio, ma anche a 10mila chilometri da casa ha sempre pensato che un giorno sarebbe tornato. “Il nostro Paese offre tante possibilità, a patto che si sia in grado di impegnarsi tanto e lamentarsi poco”.