Società

L’uso del maschile sovraesteso rende invisibile la donna: ecco un piccolo esercizio

Molto spesso usiamo le parole lingua e linguaggio come se fossero sinonimi. Il linguaggio è la capacità di comunicare e la comunicazione che può avvenire in vari modi. La lingua invece è lo strumento orale o scritto del linguaggio – fatta eccezione per la lingua dei segni. Va da sé che, in quanto strumento di comunicazione, il suo scopo sia appunto quello di comunicare concetti e idee che inevitabilmente finiscono per plasmare la realtà e il pensiero sociale.

Quindi, quando comunichiamo, non stiamo solo pronunciando delle parole. Quelle parole rappresentano molto di più. Ecco perché è importante un uso non sessista della lingua e includere il femminile nelle parole che usiamo. Il rispetto della dignità della persona comincia con la conoscenza della sua esistenza e individualità. Le donne rappresentano il 51% della popolazione, il che significa che la società è composta da un numero approssimativamente uguale di donne e uomini.

Quando si parla di maschile sovraesteso non ci riferiamo esclusivamente al fatto che si usi il genere maschile per indicare tutte le persone, ma anche alla generale invisibilizzazione della donna all’interno della società, della letteratura, della storia, quasi le donne non fossero mai esistite.

Proviamo a pensare a 5 strade o piazze intestate a donne e a 5 intestate a uomini. Fatelo anche voi. A me vengono subito in mente Mazzini, Garibaldi, La Pira, Matteotti, Gramsci e potrei andare avanti. Sono invece qui a pensare a strade o piazze intestate a donne e non me ne viene in mente nessuna che non sia una santa.

Idem se pensiamo alla poesia studiata a scuola: Foscolo, D’Annunzio, Montale, Ungaretti. Idem la filosofia: Kant, Nietzsche, Socrate, Eco. Provate a fare questo esercizio per ogni categoria e vi renderete conto che in ogni campo sono conosciuti quasi esclusivamente gli uomini. Non nominare le donne nei discorsi, nei testi e nelle illustrazioni che si riferiscono all’attività umana, ai gruppi sociali o alla società significa rendere invisibile il loro contributo. Questa invisibilità riduce anche i sogni e le aspettative di tutta la popolazione femminile, fa pensare che la donna più di tanto non possa e non riesca, continua a passare l’idea che il compito femminile sia quello di occuparsi della famiglia e della casa.

Va da sé che l’uso del maschile sovraesteso, cioè usare la desinenza maschile per rappresentare la comunità, altro non fa che perpetuare sempre questa invisibilizzazione. Molte persone si lamentano che, se ci mettessimo a nominare chiunque, il discorso diventerebbe noioso, ma allo stesso tempo quando una persona usa il femminile sovraesteso al posto del maschile, istantaneamente il nostro orecchio avverte l’esclusione, si interroga su chi sia il soggetto del discorso e percepisce in maniera evidente l’esclusione dell’uomo dalla conversazione.

Siamo ormai assuefatte all’inesistenza della donna (ho usato il femminile sovraesteso. Vi è venuto da pensare anche agli uomini?) e quando ne chiediamo la sua visibilizzazione ci sentiamo quasi di dover chiedere per favore, di andare a disturbare.

Esercitare il cervello a questi cambiamenti è un po’ come andare in palestra: per molte persone può essere faticoso, però è salutare e nel caso della lingua è l’unico modo per costruire società eque. Non è vero che la lingua diventa ridondante nel momento in cui ci si sforza di ampliarla. In questo breve scritto io sono riuscita a non usare il maschile universale o sovraesteso. Ed è vero, mi sono dovuta concentrare, perché è vero che richiede uno sforzo. È un po’ come andare a guidare nel Regno Unito: non è che non sappiamo guidare, non sappiamo guidare a sinistra. Ma basta poco per prendere la mano.

Ma se, guidando nel Regno Unito, è evidente che se non stiamo a sinistra andiamo a sbattere e ci facciamo male, col maschile sovraesteso sembra che il danno non sia poi così grave anche se poi ci ritroviamo con una donna uccisa ogni tre giorni (e una su tre minorenne) e una donna che subisce violenza ogni due ore. Certo che la violenza di genere non si risolve esclusivamente con una lingua più ampia, ma sicuramente sarebbe un buon inizio.