“Questi crimini eccellenti, su cui finora non si è riusciti a fare interamente luce, hanno alimentato l’idea del «terzo livello», intendendosi con ciò che al di sopra di Cosa Nostra esisterebbe una rete, ove si anniderebbero i veri responsabili degli omicidi; una sorta di super comitato costituito da uomini politici, da massoni, da banchieri, da alti burocrati dello Stato, da capitani di industria, che impartirebbe ordini alla Cupola. Questa suggestiva ipotesi che vede una struttura come Cosa Nostra agli ordini di un centro direzionale sottratto al suo controllo è del tutto irreale e rivela una profonda ignoranza dei rapporti tra mafia e politica”.
Non sono parole mie, ma di un grande uomo, il magistrato Giovanni Falcone. Penso che tanti dovrebbero leggere e analizzare il pensiero del dott. Falcone, prima di esporre fatti privi di riscontri. Sto scrivendo pensando proprio a Falcone, per la semplicità di centellinare il suo dire con serietà e rispetto, come la stessa sua funzione richiedeva. Ora è tutto un talk show: si può affermare tutto e il contrario di tutto per saziare fan plaudenti. Detto ciò, esplicito la mia opinione sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, e lo faccio a bocce ferme visto che ormai l’argomento appartiene al passato. Anzi, direi che appartiene ad un mondo giurassico: i libri di storia racconteranno quel che fu l’antimafia incardinata su teoremi piuttosto che su elementi di fatto.
E quindi da manovale delle investigazioni vorrei sforzarmi per far capire che il sostantivo “trattativa” è stato impropriamente usato nei fatti de quo. Gli agenti o ufficiali di polizia giudiziaria sanno bene che quando si parla di trattativa s’intende il rapporto confidenziale che si instaura con personaggi legati alla criminalità spicciola o a quella organizzata. In buona sostanza li possiamo definire rapporti “confidenziali”, piuttosto che trattative. Confesso che spessissimo feci ricorso a fonti confidenziali, con apprezzabili risultati, specie nei confronti di Cosa nostra. Questi rapporti, talvolta intensi, non potevano essere connotati come “trattative”, atteso che il fine ultimo era il raggiungimento della verità in ordine a responsabilità penali individuali.
Ciò detto, nell’arcinota vicenda che ha visto coinvolti il generale Mori e il capitano De Donno, si evince lapalissianamente che ci fu da parte loro un rapporto di interlocuzione con Ciancimino senior nell’alveo dei compiti istituzionali e che erano finalizzati alla lotta a Cosa nostra, soprattutto in ragione del tragico momento delle stragi. Io all’epoca ero alla Dia: se di mia iniziativa o su input del direttore De Gennaro avessi avuto l’incarico di relazionarmi con Ciancimino o con pinco pallino, ebbene l’avrei fatto senza se e senza ma. E sarebbe stata trattativa? No, niente affatto. Una volta i vecchi investigatori giostravano molto sulla patente di guida: era un mezzo che funzionava benissimo per ottenere informazioni. Qualcuno di voi pensa davvero che le notizie confidenziali nascevano o nascono sugli alberi, in particolare quelle provenienti dal mondo mafioso? Siete davvero convinti che a Palermo, ancor prima dell’arrivo dei pentiti, polizia e carabinieri operassero senza il contributo delle fonti confidenziali?
In un ambiente omertoso come quello mafioso, era necessaria la conoscenza del territorio e degli uomini d’onore; la ricerca di confidenti aveva il solo fine di frantumare il muro d’omertà. La pazienza, la serietà, l’usare la mimica e il linguaggio tipico dei mafiosi era un metodo vincente, soprattutto per l’osmosi che regolava il rapporto. Mi risulta che oggi questi rapporti confidenziali non hanno la frequenza del passato, proprio in ragione del polverone sollevato dalla trattativa Stato-mafia. E anche perché taluni magistrati non comprendono appieno siffatto metodo investigativo. Tuttavia, le norme prevedono che il poliziotto non sia obbligato a svelare la propria fonte, quando persistono gravi motivi per l’incolumità fisica del confidente. Il rapporto poliziotto/confidente era ed è molto riservato e non deve venir meno, altrimenti potrebbero verificarsi gravi conseguenze, come accadde a un mio confidente che fu torturato, assassinato e il suo corpo dato alle fiamme (episodio raccontato a me e Falcone da un pentito di Cosa nostra, che ci svelò il nome del traditore).
Ho iniziato col pensiero del dottor Giovanni Falcone perché mi piacerebbe che tanti ne tenessero conto. Mi rattristo quando leggo astruse ricostruzioni fatte da esperti che dipingono realtà non corroborate da prove. La cosa che davvero mi fa male è leggere “è stato un omicidio di Stato”. Dissento fermamente, sino a quando non si dimostri il contrario. Un altro aspetto a margine della cosiddetta trattativa Stato-mafia è il fiorir di esperti improvvisati: tutti giudici e avvocati. E quindi, per favore, leggete bene e meditate sul pensiero del dottor Falcone. Disse il compianto Sciascia: “A ciascuno il suo”, ma vedo con rammarico che nemmeno “ciascuno” riesce a rimanere nel suo.