Bollette più pesanti per rimediare al buco causato dalla corsa al gas del 2022. Oltre a dover fare i conti con la fine della maggior tutela, le famiglie italiane sono chiamate anche a ripianare i costi sostenuti per riempire in tutta fretta gli stoccaggi quando le quotazioni sulla borsa Ttf di Amsterdam erano alle stelle. La novità degli ultimi giorni è che l’onere potrebbe essere in piccola parte condiviso con gli altri consumatori della Ue attraverso una tassa da applicare anche sul gas esportato. Ma c’è poco da festeggiare visto che già dall’ottobre scorso la Germania sta applicando a sua volta un balzello sul proprio export, pagato anche dagli utenti italiani. E intende aumentarlo ulteriormente da gennaio. L’ennesimo segnale di crisi del modello “solidale” con cui Bruxelles aveva annunciato di voler gestire l’emergenza innescata dall’invasione russa dell’Ucraina.
Un passo indietro. Nell’estate 2022, in nome della sicurezza degli approvvigionamenti, il governo Draghi ha incaricato anche il Gestore dei servizi energetici, oltre alla società pubblica Snam, di garantire un rapido riempimento degli stoccaggi nazionali di gas comprando a qualsiasi condizione. È finita che poi i prezzi sono crollati e il metano comprato a peso d’oro è stato o sarà rivenduto con una minusvalenza miliardaria. Come tappare la falla? Finora la copertura dei costi era garantita in parte da stanziamenti pubblici e per il resto da un corrispettivo ad hoc per il servizio di stoccaggio – una delle componenti dei costi di trasporto – fissato per questo autunno e inverno a 3,4 centesimi al metro cubo. Tradotto: maggiori esborsi per i consumatori italiani.
Il documento messo in consultazione pubblica il 12 dicembre sul sito di Arera (c’è tempo fino al 24 gennaio per le osservazioni) propone qualcosa di un po’ diverso: una tassa da applicare ai punti di uscita nazionali della rete ma anche a quelli di interconnessione con l’estero. Gli oneri delle scorte verrebbero così scaricati anche sugli utenti dei Paesi verso i quali l’Italia esporta gas. Cosa è cambiato? Nel testo l’autorità spiega che “la scelta di non coprire i suddetti costi tramite nuovi corrispettivi presso i punti di interconnessione con l’estero era stata operata nella convinzione che un aumento dei costi di trasporto transfrontalieri potesse avere effetti distorsivi e non essere conforme allo spirito di solidarietà richiesto a livello europeo nonché alle norme relative al buon funzionamento del mercato interno del gas”. Ma poi Berlino è andata avanti per la sua strada. Con la ratio che dei suoi stoccaggi hanno beneficiato anche i Paesi interconnessi, “ha deciso di coprire i costi attraverso l’introduzione di una “Neutrality Charge” da applicare non solo ai punti di uscita domestici ma anche ai punti di interconnessione con l’estero”. La tassa inizialmente (dall’ottobre 2022 al giugno 2023) era di 0,59 euro/MWh, poi dallo scorso luglio è stata portata a 1,45 euro/MWh e dall’1 gennaio è destinata ad aumentare ancora, a 1,86 euro/MWh.
La scelta tedesca ha cambiato le carte in tavola convincendo Arera a muoversi nella stessa direzione. Pur auspicando “quanto prima una definizione di regole armonizzate a livello europeo per il recupero dei costi”, l’autorità ritiene di conseguenza che sia il caso “di introdurre anche in Italia una Neutrality Charge da applicare (anche) ai punti di interconnessione con l’estero” oltre che ai punti di uscita nazionali. E “sulla base degli elementi al momento disponibili” ipotizza che i costi siano coperti in tre anni attraverso un balzello di 2,32 centesimi al metro cubo, con ricavi che secondo Staffetta Quotidiana ammonterebbero nel primo anno a 1,5 miliardi. Il grosso uscirà comunque dalle tasche dei consumatori italiani, perché i volumi di export al momento sono assai ridotti: circa 2,2 miliardi di metri cubi tra gennaio e ottobre 2023 a fronte di consumi interni per 48,5 miliardi. Il corrispettivo sarebbe applicato da aprile 2024 e in parallelo verrebbe rivisto al ribasso il corrispettivo per il servizio di stoccaggio. L’ammontare della tassa verrebbe aggiornato ogni anno anche in base alle “revisioni delle stime di copertura” dei costi del servizio. Perché una quantificazione ufficiale delle perdite ancora non c’è.