Maryam ha dodici anni e vive nel campo profughi di Jabalya, nella striscia di Gaza. Dal 7 ottobre non si sa più nulla di lei. Così come di altri 76 bambini che sono sostenuti a distanza da altrettante famiglie italiane grazie al lavoro di Salaam Ragazzi dell’Olivo di Milano. Un progetto di “affido contestualizzato” che negli ultimi anni ha permesso di sostenere non solo tante famiglie ma anche diverse strutture socio-educative nella striscia di Gaza. Un esempio? Il centro “Rec” (Remedial Education Center) che si occupa di assistere i bambini con disagi psichici e difficoltà di apprendimento dovuti alle condizioni sociali, economiche e familiari in cui sono costretti a vivere. “E fino a quando si è potuto, e dunque fino all’operazione Piombo Fuso, riuscivamo a far uscire dalla Striscia e a far venire in Italia per dei campi estivi tanti bambini palestinesi” racconta al Fattoquotidiano.it Arturo, uno dei genitori affidatari. Oggi tutto questo non è più possibile. Anche la semplice comunicazione con le famiglie è diventata impraticabile. “Viviamo con un senso di angoscia perché da quando sono iniziati i bombardamenti non abbiamo più notizia dei bambini e delle loro famiglie” spiega Rita. L’ultimo aggiornamento è arrivato soltanto qualche giorno fa grazie al direttore del progetto a Gaza, il dottor Husam Hamdouna. Dei 103 bambini affidati a distanza, 26 sono ancora vivi, sebbene tutte le famiglie abbiano avuto parenti uccisi, le case danneggiate, alcune totalmente distrutte, solo 2 famiglie sono rimaste nelle loro case. Degli altri 77 non si hanno notizie. “È con questo senso di impotenza che lanciamo questo appello a tutti i soggetti che possono intervenire per un cessate il fuoco immediato – hanno scritto in una lettera appello le famiglie affidatarie – per fermare la strage in corso, portare gli aiuti necessari alla popolazione palestinese sottoposta a sofferenze indicibili, avviare quel processo di pace che permetta di restituire alle persone colpite condizioni di vita dignitose”.