Congratulazione ad Al Sisi: il dittatore, ops, presidente è stato rieletto – per la terza volta di fila – leader della Repubblica d’Egitto. Un plebiscito: 89.6% di voti. Percentuali che hanno suscitato non poca gelosia da parte di quella classe politica italiana che guarda al faraone come un uomo da imitare e al quale chiedere consigli. Del caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano morto ammazzato in una caserma egiziana, non si parla più. Né nei media, né in parlamento. Il motivo?

Al Sisi è diventato un partner importante per l’Occidente e per l’Italia. Per il nostro paese, oltre che essere divenuto un faro di democrazia, un esempio, in particolare per il governo attuale – ma anche Renzi guardava ammirato – l’imperatore generale d’Egitto ormai frena i migranti per noi. Ha le mani in Libia e, per l’Occidente, è diventato un punto di riferimento per quanto riguarda il disastro fra palestinesi e israeliani. Sarà per questo motivo che non si è sollevata nessuna voce a condannare la rielezione di un personaggio che, nel 2013, prese il potere tramite colpo di Stato.

O magari la vera motivazione è che abbiamo una memoria corta, troppo corta. E, in particolare, non vogliamo più saperne nulla degli imprigionati e dei morti ammazzati nelle carceri egiziane. Troppo complicato salvarli tutti. Accendere una luce, dichiarare pubblicamente che al Sisi è un dittatore, che ha preso il potere con un colpo di Stato, è una azione che richiede un coraggio enorme. Una virtù ormai rara, figuriamoci in parlamento.

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