Cultura

Un metro di circonferenza, il funzionamento misterioso: la storia dell’orologio prodotto 2mila anni fa in Grecia e conservato in un museo delle Marche

di Marco Ferri

È dal 1863 che Ancona è sede delle collezioni archeologiche delle Marche, che nel 1906 divennero museo a tutti gli effetti con sede a San Francesco alle Scale. Dopo i bombardamenti del 1944 fu deciso di spostare il patrimonio archeologico negli spazi del cinquecentesco Palazzo Ferretti. Ed è qui che nel gennaio del 1972 il terremoto colpì duro, provocando la chiusura del museo. Occorsero molti anni affinché nel 1988 le varie sezioni del Museo Archeologico Nazionale delle Marche (da quella sulla civiltà picena a quella con i reperti di Ancona ellenistica e romana) iniziassero a tornare visibili dal pubblico. All’appello mancava la ricca collezione di opere e reperti di età romana provenienti dai siti di tutto il territorio marchigiano, una lacuna che da alcuni giorni è stata colmata con l’allestimento di due sale.

Grazie a un ben dosato mix tra luce artificiale e luce naturale proveniente dai grandi finestroni che si affacciano sul porto di Ancona, gli oggetti in mostra appaiono particolarmente affascinanti: teste maschili di statue, grandi figure con panneggi davvero superbi, cippi, lastre di sarcofagi, un piccolo, delizioso busto che ricorda tanto il Torso del Belvedere dei Musei Vaticani, un pavimento in opus sectile con tarsie marmoree che poi sarebbero state riprese dagli architetti del Rinascimento per le facciate delle basiliche, frammenti di mosaici con minuscole tessere e centinaia di gioielli e oggetti in terracotta, calano il visitatore in una realtà che annulla i quasi duemila anni che ci separano dalla realizzazione di quegli oggetti, alcuni dei quali sono assolutamente sorprendenti.

Uno in particolare merita un’attenzione speciale. A prima vista, da lontano, pare una palla da bowling, ma i fori sulla superficie della sfera marmorea, sono troppo piccoli per poterci infilare le dita. E poi quei solchi, leggerissimi, appena visibili su questa sfera segnata dal tempo e dall’uomo. La didascalia dell’oggetto, che si legge nella vetrina contenente anche il reperto, indica che si tratta di un Orologio solare sferico in marmo, di età romana (probabilmente tra il I e il II secolo dopo Cristo), proveniente da Matilica, l’attuale Matelica in provincia di Macerata, che misura 93 centimetri di circonferenza.

Per quel poco che si sa, questo curioso misuratore del tempo, unico nel suo genere, misurava le ore del giorno, ma anche le stagioni, segnate dal passaggio del sole sui 13 fori numerati con lettere greche da 1 a 6 e da 6 a 12 e sui tre cerchi concentrici incisi, che racchiudono i nomi in greco delle costellazioni dello zodiaco. Descritto così, sembra uno strumento di eccezionale importanza (a saperlo usare), estremamente moderno per l’epoca, quasi una sorta di planetario al contrario, tecnologicamente avanzato.

C’è però una serie di problemi da risolvere prima di poter affermare che noi, uomini del terzo millennio, siamo capaci di maneggiare un simile strumento: infatti non si conoscono la cronologia, il luogo di produzione e l’effettiva destinazione d’uso, ovvero se di ambito privato o pubblico; senza contare che quell’orologio funzionava solo nel luogo per il quale era stato realizzato.

Secondo alcuni studi, l’Orologio solare sferico rinvenuto fu realizzato per poter funzionare a una latitudine di 45°, molto vicina ai 43°15’ di Matelica dove, in pieno centro cittadino, fu scoperto nel 1985. Dal momento che vi sono elementi per presupporre che l’oggetto sia stato realizzato in Grecia (forse vicino Afrodisias, zona di Efeso, oggi Turchia), se fosse stato utilizzato in quell’area avrebbe fornito dati sballati, per cui è lecito supporre che l’opera sia frutto di una precisa commissione. Senza contare, infine, che è nota l’esistenza solo di altri tre esemplari di Orologio solare sferico, tra i quali uno scoperto vicino all’Acropoli di Atene e un altro, di dimensioni maggiori rispetto a quello di Matelica, trovato nel 1939 nelle vicinanze di Argo e Micene.

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