Non conosco la signora Chiara Ferragni, quindi non mi permetto un giudizio morale su di lei. Non conosco nei dettagli neppure la vicenda della pubblicità ingannevole, legata a un noto prodotto commerciale, che l’avrebbe vista protagonista in veste di presunta truffatrice. Dirò di più: non mi sembra rilevante né la signora Ferragni né la vicenda della pubblicità ingannevole, quanto piuttosto il contesto che rendono possibili (e vincenti) sia l’una che l’altra.
Sì, perché ad essere ingannevole è piuttosto quella che Guy Debord chiamava nel 1967 “società dello spettacolo”, in cui “il vero è un momento del falso” e lo stesso spettacolo si rivela essere “l’affermazione dell’apparenza e l’affermazione della vita umana, cioè sociale, come semplice apparenza”. Esso non ci dice più di questo: “Ciò che appare è buono, e ciò che è buono appare”.
Ecco perché la signora Ferragni ha già vinto, anzi direi che vince comunque (come del resto risulterà vincente l’allegato pandoro, ricoperto di ulteriore e dorata pubblicità). Perché si sia trattato di truffa o errore, che le sue scuse contrite abbiano espresso una commozione reale o fasulla, ella ha catalizzato l’attenzione mediatica e delle persone. Alla faccia di chi la segue e compra determinati prodotti perché sponsorizzati da lei, ma anche di chi la critica attraverso i meme ironici e polemici (“pensati onesta”, “Se voi non foste cretini, io mangerei alla Caritas”, sono solo due tra i molteplici), prima con la pubblicità del noto pandoro a finalità finto benefica, poi con il video in cui si scusa affranta e pronta a riparare al danno, Ferragni ha vinto. Ha vinto prima, perché la gente compra in massa i prodotti da lei sponsorizzati, e ha vinto dopo, quando rivolge a proprio favore anche l’errore o la truffa commessi. A prescindere dal vero e dal falso, o forse proprio grazie al fatto che queste due categorie una volta fondamentali si sono fluidificate insieme a molte altre componenti della “società ottusa”, le sue aziende fanno comunque registrare incassi faraonici.
Infatti è proprio questo il punto, ossia il fatto che “lo spettacolo sottomette gli uomini viventi nella misura in cui l’economia li ha totalmente sottomessi” – citando sempre Debord – così che, se il capitalismo moderno si fondava su una “degradazione dell’essere in avere”, quello odierno (post-moderno) ci pone di fronte a un ulteriore passaggio: quello dall’avere all’apparire. È proprio dall’apparire, oggigiorno, che “ogni ‘avere’ effettivo deve desumere il proprio prestigio immediato e la propria funzione ultima”. Insomma, un capitalismo in cui guadagna chi appare e appare chi guadagna, al di là dei meriti e delle competenze, dell’onestà e perfino della legalità, ben al di fuori anche della dignità e del buonsenso.
Perché si affermi un sistema produttivo e lucrativo di tal fatta, ovviamente, sono necessarie due precondizioni: un’opinione pubblica mediamente ridotta ad automi connessi, a docili robot spogliati di pensiero autonomo e critico ma pronti a seguire la bionda divinità (che si tratti comprare pandori o paillettes, postare meme sfottenti o il video di costei affranta e pentita, poco importa); e naturalmente una classe dirigente e politica ormai bollita e imbelle, ridotta a un’opposizione progressista pronta a innalzare personalità dello spettacolo a maitre à penser (ieri Asia Argento con il #metoo, recentissimamente Chiara Ferragni per il patetico “pensati libera”, per tacere di Paola Cortellesi) e a una maggioranza governativa che finge di interloquire criticamente con le star del jet set pur di mascherare la totale assenza programmatica e la genuflessione ai diktat della finanza.
Se quella descritta da Debord era una società dello spettacolo, oggi siamo degenerati direttamente a una società nello spettacolo. In cui non è più il sistema a declinarsi in termini spettacolari, ma lo spettacolo stesso a dettare modi e tempi in cui il sistema (politico, culturale, sociale) deve agire. In quella di allora il vero era un momento del falso, mentre in quella odierna vero e falso sono direttamente evaporati nell’irrilevanza. Per lasciare spazio a cialtroni, opportunisti influencer e politici incapaci. In vista del 2024 possiamo solo pensarci salvi, volendo riprendere uno slogan proprio di Ferragni, perché nella realtà siamo belli che bolliti.