Secondo quanto emerge da un nuovo studio pubblicato su “JAMA Psychiatry”, condotto da ricercatori in Svezia, rischia anche di avere una aspettativa di vita significativamente più limitata di tutti gli altri
L’ipocondria rischia di toglierci ben cinque anni di vita. Chiariamoci: in questo caso non stiamo parlando della semplice – e anche legittima – paura di ammalarsi. Ma della vera e propria patologia psichiatrica con questo nome, anche inserita nel DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Si stima che circa il 7% della popolazione mondiale, e circa 4 milioni di persone in Italia, soffrano di questo “disturbo d’ansia da malattia” (fonte Fondazione Brf Onlus). Chi soffre di ipocondria vede la propria vita quotidiana sconvolta dall’ansia e interpreta quasi ogni normale sensazione corporea come un segno di patologia. E secondo quanto emerge da un nuovo studio pubblicato su “JAMA Psychiatry”, condotto da ricercatori in Svezia, rischia anche di avere una aspettativa di vita significativamente più limitata di tutti gli altri.
Gli scienziati del Karolinska Institutet hanno monitorato 42.000 persone nell’arco di vent’anni, di cui 1.000 affette da questa patologia, e hanno scoperto che coloro che erano afflitti da ipocondria vivevano tendenzialmente cinque anni in meno. I risultati hanno mostrato che i pazienti che hanno sperimentato il fenomeno hanno vissuto in media fino a 70 anni, mentre quelli che hanno condotto una vita normale hanno vissuto fino a 75 anni. I pazienti con ipocondria avevano anche una probabilità quasi quattro volte maggiore di morire per suicidio e avevano un rischio più elevato di morte per malattie respiratorie come influenza e Covid, così come problemi circolatori o neurologici. I ricercatori hanno affermato che il collegamento non può essere spiegato con la “paura della scoperta” – quella situazione in cui le persone sono così preoccupate di ammalarsi che evitano di andare dal medico, rischiando diagnosi ritardate. Invece, hanno affermato che il perpetuo stato di preoccupazione – che può essere innescato da sensazioni normali come sudorazione o gonfiore – porta ad uno stato di stress cronico, una causa nota di problemi di salute fisica. Lo stress e l’ansia possono innescare il rilascio di sostanze chimiche che provocano un aumento dei livelli di infiammazione in tutto il corpo.
Diversi studi hanno collegato l’infiammazione a lungo termine a una serie di problemi, tra cui un sistema immunitario indebolito, che rende il corpo meno capace di combattere infezioni e malattie. “L’ipocondria potrebbe innescare la produzione in eccesso di cortisolo, l’ormone dello stress, che a sua volta può causare danni che possono effettivamente aumentare il rischio di mortalità”, conferma Pasquale Romeo, docente di Psicologia dell’Università Dante Alighieri di Reggio Calabria. “Lo stress, anche quello auto-indotto, può alterare il sistema neurochimico e indurre la produzione di sostanze endogene come il cortisolo. Livelli cronicamente elevati di cortisolo, ad esempio, possono alzare il colesterolo e alterare i vasi, condizione compatibile con un problema vascolare che può rivelarsi anche fatale”, aggiunge. È anche possibile che l’accresciuta consapevolezza della malattia sia radicata in problemi di salute sottostanti, che potrebbero esporre i malati a un rischio di morte più elevato. I ricercatori hanno anche notato che era importante affermare che questi pazienti non erano a rischio più elevato di decessi correlati al cancro. Per lo studio, i ricercatori hanno estratto i dati dal registro nazionale dei pazienti svedese, che contiene statistiche sulle malattie di tutti i pazienti in Svezia.
Una ricerca del set di dati dal 1997 al 2020 ha rivelato che a 1.000 pazienti era stata precedentemente diagnosticata l’ipocondria. Questi sono stati abbinati a 41.000 pazienti che erano simili per età, sesso e vivevano nello stesso paese. Gli scienziati hanno poi esaminato i dati di entrambi i gruppi per due decenni per determinare il rischio di morte o malattie. La maggior parte dei pazienti affetti da ipocondria (57 per cento) erano donne e quasi tutti presentavano un altro disturbo d’ansia (78 per cento). La pandemia, infine, potrebbe aver aumentato il problema. “Il Covid ha slatentizzato e fatto da amplificatore a quello che avevamo dentro noi stessi”, conferma Romeo. “Bisogna dunque lavorare su sé stessi perchè ciò che succede nella nostra mente può avere un impatto importante anche sul corpo”, conclude