Dopo la Giunta per le Autorizzazioni, è arrivato il no ella Camera. L’Aula ha nega l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni effettuate con il trojan di comunicazioni di Cosimo Ferri, deputato all’epoca dei fatti. I voti a favore sono stati 172, 69 i contrari, gli astenuti sono stati 11. Per non concedere l’autorizzazione si sono espressi i deputati della maggioranza, di Iv e di Azione. Avs si è astenuta. Pd e M5S chiedevano la concessione dell’autorizzazione. L’uso delle intercettazioni era stato chiesto dalla sezione disciplinari del Consiglio superiore della magistratura nell’ambito di un procedimento disciplinare promosso nei confronti di Ferri dal Procuratore Generale della Cassazione.
Il caso – Il Consiglio superiore della magistratura, a settembre, aveva ordinato una nuova trasmissione degli atti alla Camera, dopo che la Consulta aveva stabilito che la Camera non poteva negare uso intercettazioni del deputato Cosimo Ferri al Csm. Cuore di questo scontro sull’utilizzabilità delle conversazioni intercettate la notte tra l’8 e il 9 maggio 2019 all’hotel Champagne di Roma. In quei nastri il giudice ed ex sottosegretario alla Giustizia, da deputato Pd in carica, disegnava strategie sulla scelta del futuro procuratore della Capitale insieme a Luca Palamara – allora potente leader della corrente Unicost -, all’ex ministro dem Luca Lotti (in quel momento indagato proprio a Roma) e a cinque consiglieri togati del Csm, a cui di lì a poco sarebbe spettata la nomina. Perciò la Procura generale della Cassazione lo accusa, dal lontano giugno 2020, di violazione dei “doveri di correttezza ed equilibrio”, di “comportamento gravemente scorretto” nei confronti dei colleghi e di “uso strumentale della propria qualità e posizione (…) diretto a condizionare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste”. Per queste stesse incolpazioni Palamara è stato radiato dall’ordine giudiziario e i cinque ex consiglieri condannati a lunghe sospensioni dalle funzioni e dallo stipendio.
La Consulta – Ferri all’epoca era parlamentare. E per sostenere l’accusa contro di lui è fondamentale la prova costituita dalle intercettazioni, disposte però nell’ambito di un’indagine nei confronti di Palamara (allora indagato per corruzione). Per questo, a luglio 2021, la Sezione disciplinare di palazzo dei Marescialli aveva chiesto alla Camera l’autorizzazione successiva a utilizzarle nel procedimento in base all’articolo 6 della legge Boato sulle prerogative dei parlamentari, in quanto conversazioni captate “nel corso di procedimenti riguardanti terzi, alle quali hanno preso parte membri del Parlamento”. A gennaio 2022 Montecitorio aveva risposto di no citando un’altra norma, l’articolo 4 della stessa legge, che richiede invece l’autorizzazione preventiva in caso di intercettazioni dirette verso un parlamentare. Secondo i deputati, infatti, le registrazioni del loro collega Ferri non erano state casuali, ma volute o comunque previste dall’autorità inquirente (la Procura di Perugia). Contro questa tesi il Csm aveva sollevato conflitto d’attribuzione di fronte alla Corte costituzionale, che lo aveva appunto accolto con una sentenza depositata lo scorso 20 luglio: per i giudici della Consulta, “gli elementi addotti dalla Camera (…) non sono idonei a dimostrare univocamente” che i pm volessero intercettare Ferri tramite Palamara. E perciò, hanno ordinato, l’Aula dovrà esprimersi ancora una volta sulla richiesta del Csm, questa volta però in base all’articolo 6.
La polemica – Sul caso il 13 dicembre l’ex vicepresidente della Cosulta, Nicola Zanon, aveva fatto alcune dichiarazioni che avevano scatenato una polemica. In serata è arrivata una nota della Consulta. “La Corte costituzionale ritiene doveroso fornire alcune precisazioni in merito alle dichiarazioni del Prof. Nicolò Zanon, già vicepresidente della Corte, rese a Milano lo scorso 13 dicembre in occasione della presentazione di un volume, e a quanto ripreso da alcuni organi di stampa, relativamente alla sentenza n. 157 del 2023, sul conflitto di attribuzioni che ha riguardato l’onorevole Ferri. I riferimenti alla discussione in camera di consiglio – la cui riservatezza è posta a garanzia della piena libertà di confronto tra i giudici e dell’autonomia e indipendenza della Corte – hanno ingenerato una rappresentazione distorta delle ragioni sottese alla decisione. La Corte prende atto che lo stesso Prof. Zanon, con una successiva lettera a un organo di stampa, ha chiarito ‘di non aver mai parlato di “pressioni” sulla Corte costituzionale’ e si è rammaricato che le sue parole abbiano potuto ‘ingenerare ricostruzioni che danneggiano l’istituzione’. La Corte, sulla base di una attenta valutazione dei fatti di causa, di cui si dà puntualmente conto nella motivazione della sentenza – prosegue la nota – ha ritenuto legittime le intercettazioni disposte nel procedimento penale e ha, al contempo, rimesso al Parlamento di valutare se autorizzare o meno la sezione disciplinare del CSM a utilizzare le intercettazioni nell’ambito del giudizio disciplinare contro l’onorevole Ferri. In questa direzione si è in effetti attivata la Camera.
Il caso Renzi – Ma non solo. “La Corte rammenta che, nell’interpretazione e nell’applicazione ai casi concreti delle norme costituzionali, è fisiologico che vi possano essere diversità di opinioni tra i singoli giudici, come accade del resto in ogni organo giurisdizionale collegiale. In queste situazioni, la decisione non può che essere adottata a maggioranza, e vincola l’intera Corte, compresi i giudici dissenzienti. Corrisponde, inoltre, alla prassi costante della Corte, conformemente alla disciplina processuale (art. 20 delle “Norme integrative”), che il giudice originariamente designato quale relatore possa chiedere di essere esonerato dalla redazione della motivazione, e che il presidente designi in tal caso un diverso giudice redattore – prosegue il comunicato -. Quanto all’affermazione secondo cui la Corte avrebbe deciso il caso “esattamente in senso contrario” rispetto a quanto deliberato con la sentenza n. 170 del 2023, relativa al cosiddetto caso Renzi, va evidenziata la netta differenza tra le due questioni: la sentenza n. 157 riguardava i limiti della garanzia costituzionale dei parlamentari rispetto alle intercettazioni; la sentenza n. 170 concerneva, invece, il sequestro di corrispondenza scritta (via whatsapp e e-mail) con un parlamentare. La Corte è un’istituzione di garanzia, che svolge un ruolo essenziale nella tutela dei diritti fondamentali delle persone e del corretto equilibrio tra i poteri. Naturalmente, tutte le sue sentenze possono essere criticate. Tuttavia, esse devono essere valutate non in ragione di asseriti “non detti”, bensì per la maggiore o minore persuasività delle loro motivazioni”.