Non credo di sbagliare interpretando la pietà come condivisione del dolore e perciò come sua rappresentazione. La Pietà di Michelangelo ne incarna simbolicamente il sentimento e il principio. Il più significativo archetipo della pietà mi pare la morte del figlio, perché rappresenta per il genitore lo strappo più feroce alla legge di natura.
La guerra è la negazione per antonomasia della pietà, perché la stragrande maggioranza dei militari morti sono giovani, da tempo le guerre sono di fatto guerre ai civili, le prime vittime di queste guerre sono i bambini.

La ricaduta giuridica della pietà è nella Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite del 10 dicembre 1948. Cito, solo ad esempio, l’articolo 3: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”. È così in una società e in sistema economico e sociale in cui, al di là delle petizioni di principio, è al centro il mercato, la competizione, il profitto e oggi – diciamolo – la guerra? Ovviamente no, perché il sentimento, il valore, il principio della pietà ha senso solo in una comunità internazionale che metta al centro la persona umana e, assieme, ne riconosca i limiti. Questo vale in particolare per l’occidente, che di tali valori si fregia da tempo.

Accade invece che si realizzi una patologia sostitutiva. Si chiama doppio standard e consiste nell’applicazione del principio umanitario a corrente alternata, a seconda cioè degli schieramenti in campo, degli interessi nazionali o sovranazionali, delle specifiche politiche di governo. La pietà c’è, ma alle volte. A proposito del recentissimo naufragio davanti alle coste libiche, la ong Alarm Phone ha scritto: “Noi abbiamo allertato le autorità, compresa la cosiddetta guardia costiera libica che ha dichiarato di non volerli cercare”. Da quanto poi riporta Fanpage, “due velivoli di Frontex avrebbero sorvolato la zona nelle stesse ore in cui incrociava la Ocean Viking di Sos Mediterranée che aveva già salvato 26 migranti a bordo di una piccola imbarcazione. La nave umanitaria che avrebbe voluto prendere parte alla ricerche del gommone ha ricevuto invece l’ordine di tornare verso l’Italia. (…) Nel frattempo il gommone alla deriva si è rovesciato”. È l’enormità del presente e della destra italiana: le ong non hanno l’autorità e la possibilità giuridica di intervenire pienamente in casi di naufragio. Secondo l’Organizzazione internazionale dei migranti “sono oltre 2250 le persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale quest’anno”.

Insomma, l’Europa c’è, ma non risponde (per non parlare dell’Italia: penso a Cutro). No alla sostituzione etnica, dice la destra estrema. Intanto si pratica la sostituzione etica, cioè la rimozione e la negazione della prima responsabilità di qualsiasi navigante, che è quella di salvare e accogliere il naufrago.

Poi c’è la guerra e i bambini, ove il doppio standard si presenta nella sua forma più rivoltante. Grande enfasi (sacrosanta) sui bambini ucraini uccisi dalle bombe russe in quasi due anni di guerra. Pruderie e abborracciati equilibrismi lessicali sull’olocausto di bambini palestinesi uccisi dalle bombe israeliane. In fondo, una dura necessità per contrastare Hamas. Come se spianando Gaza e ammazzando – fino ad oggi – ventimila palestinesi, sia possibile distruggere Hamas che, proprio per questo, aumenta i suoi consensi in Medio Oriente e anche oltre. E – anche se fosse verosimile – come se la distruzione di Hamas giustificasse il massacro in corso.

Ma c’è di più: mentre l’orribile strage di israeliani innocenti da parte di Hamas viene sempre nominata come tale e giustamente esecrata, l’eccidio quotidiano di palestinesi sovente viene descritto come causato dai bombardamenti, senza specificare di chi sono. E la politica occidentale balbetta rimbrottando (ma non sempre) Israele perché esagera, ma non facendo mai mancare il sostanziale appoggio alla guerra in corso contro i palestinesi. E fa niente se ci rimette la pelle anche qualche ostaggio israeliano. Perché meravigliarsi del crescente isolamento dell’occidente alle Nazioni Unite, confermato dalla recente votazione per il cessate il fuoco a Gaza, quando gli stessi Paesi dell’Unione Europea si sono divisi in tre, fra astenuti, favorevoli e contrari?

Ancora un esempio del doppio standard? La proclamata (e sacrosanta) preoccupazione per il destino del dissidente russo Navalny. Neanche una parola per il dissidente americano Assange, attualmente detenuto nel Regno Unito, nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, la cosiddetta “Guantanamo di Londra”, in attesa di estradizione verso gli States, dove potrebbe rimanere in carcere a vita “per aver pubblicato informazioni veritiere, che rivelarono crimini di guerra commessi dal governo degli Stati Uniti”, come ha affermato Stella, sua moglie. Libertà di stampa e sicurezza dello Stato non sempre combaciano, alla faccia delle omelie sulla democrazia.

Doppi standard. Una sessantina d’anni fa Franz Fanon scriveva – cito a memoria – che l’occidente è per la difesa dei diritti umani. E aggiungeva: “dei bianchi”. Nell’ottobre dello scorso anno il responsabile della politica estera dell’Unione Europea, il progressista Josep Borrell, paragonava l’Europa a “un giardino” e il resto del mondo ad una “giungla che potrebbe invadere il giardino”. Che fare? “andare nella giungla”, “altrimenti, il resto del mondo ci invaderà”. C’è tutta la subalternità culturale al pensiero della destra, all’idea di un’Europa bella e buona assediata da un mondo brutto e cattivo, c’è il retropensiero che solo l’uomo bianco sia portatore di civiltà, cultura e progresso. Se lo sguardo europeo verso il resto del mondo è sempre quello di chi in ultima analisi vede il colonizzato, perché stupirci se il resto del mondo vede nell’europeo il colonizzatore?

In questo tempo di mostri – la guerra e i fascismi – occorre prendere atto che l’Unione Europea deve scegliere: o asseconda il suo declino, costruendosi attorno un muro che isola se stessa a tutto vantaggio del nazionalismo sovranista, o riconquista il futuro afferrandolo con le sue mani.

Pietà l’è morta? No, si è solo perduta. È difficile. Ma si può cambiare, tornando ai principi della carta di Lisbona e al manifesto di Ventotene, conquistando l’autonomia politica, pensando a un’Unione Europea portatrice di coesistenza pacifica. In sostanza cambiando lo sguardo sul mondo e mettendo al centro dell’Europa e del pianeta la persona, cioè la pietà ritrovata. C’è sempre una luce in fondo al buio. Val la pena provarci.

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