“E che mi chiamo Pasquale…” ghignava il grande Totò ogni qual volta gli rifilavano uno schiaffone destinato ad un altro. Lo stesso fanno a alcuni giornalisti, e non solo loro, di fronte alle aggressioni della destra contro la libertà di pensiero e informazione. C’è sempre una scusa buona per fingere di non vedere, per minimizzare, per guardare altrove.

Perché preoccuparsi di Saviano che tanto è un ricco signore, forse ha anche un brutto carattere? Per non parlare di quel Ranucci, ma chi si crede di essere? Non si rende conto che con le sue inchieste disturba la Rai e infastidisce il quietismo dei Vespa e dei suoi amici di cordata? Quel Natangelo la smetta con vignette urticanti, anche la satira deve darsi dei limiti. Sarà libero Durigon di auto decidere la penale da imporre al Domani che ha indagato sui suoi conflitti di interesse?

L’elenco potrebbe proseguire a lungo, ma “quelli che… e che mi chiamo Pasquale” troveranno sempre un pretesto per sorridere, per banalizzare, per disertare. Siano a quando non saranno sfiorati, allora li sentiremo ragliare sino alle stelle. Eppure le parole urlate in queste ore sono terribili e dovrebbero impressionare, anche e soprattutto, quelli che si autodefiniscono moderati. Una presidente del consiglio che ha ospitato Musk e Abascal, scelte di esemplare chiarezza; che dal palco attacca privati cittadini e mette alla pubblica gogna uno scrittore “che ha fatto i soldi con la camorra” ricorda i peggiori giorni dei Putin, dei Bolsonaro, dei Trump, degli Orban. Sarà appena il caso di rammentare che le medesime parole erano state scagliate contro Saviano dal clan dei Casalesi.

Un ministro, Lollobrigida, che indica Sigfrido Ranucci e la redazione di Report come nemici della patria per un’inchiesta, documentata e rigorosa, su alcuni vini italiani vuole intimidire il giornalismo di inchiesta, o meglio quello che ancora resta. La retorica del nemico in casa, del disfattismo, dei nemici della patria rappresentavano peraltro gli ingredienti essenziali della retorica fascista.

Nelle stesse ore viene depositato, da un deputato di Azione, un progetto di legge per oscurare persino gli arresti. Un sindaco potrebbe sparire un giorno, ma sarebbe vietato dare notizia del suo arresto, in aperto contrasto con le sentenze della corte di Cassazione, ma soprattutto con quelle della Corte europea. L’obiettivo, evidentemente, è solo quello di mettere nel mirino l’articolo 21 della Costituzione e di imbavagliare il diritto della comunità nazionale a essere informata. Allo stesso modo si finge di non sentire le voci di quei cronisti, vedi anche inchiesta pubblicata dal Fatto, che denunciano di essere stati e di essere intercettati e pedinati illegalmente; sono quasi tutti quelli che hanno indagato sulla trattativa Stato-mafia e si sono occupati dei traffico con la Libia e delle Ong impegnate a salvare le vite degli altri.

Non si tratta più di aggressioni contro i singoli cronisti, ma di un odio verso quella Costituzione antifascista da sempre disprezzata dai nipoti dei repubblichini di Salò. A svelare il disegno ci ha pensato, ancora una volta, il presidente del Senato, Ignazio Benito, che prima ha definito “sovietica” la Costituzione e poi ha annunciato che è giunta l’ora di ridurre i poteri del presidente della Repubblica. Un obiettivo da raggiungere liquidando progressivamente anche la funzione della magistratura, della informazione, dei sindacati, delle assemblee elettive, dei poteri di controllo.

Forse sarà il caso di non fare come Totò Pasquale, e di cominciare a sentire davvero la violenza di questi schiaffoni; magari le opposizioni potrebbero proclamare insieme una grande manifestazione a difesa non di questo o quel giornalista, ma del pensiero critico che è il vero nemico di una destra sempre più destra. Sarà il caso di farlo subito, perché i nonni dei fascisti di oggi iniziarono proprio mettendo alla berlina, e poi al fuoco, le redazioni, le camere del lavoro, le leghe contadine, gli oppositori… anche allora non pochi ridevano, scherzavano, annunciavano un Mussolini statista e moderato, anche allora non mancavano “quelli che… e che mi chiamò Pasquale”.

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