Un covo in Tunisia per Matteo Messina Denaro, mentre si rubavano tir di pesce per sostenerne la latitanza. Tutto per la primula rossa di Castelvetrano. È quanto emerge dalle indagini degli uomini del Ros, coordinati dal capo della procura di Palermo e dall’aggiunto Paolo Guido. Un’operazione che ha portato all’arresto di tre persone e a ridisegnare “il sistema” di controllo della mafia trapanese. “Il sistema è questo… tu sappi che l’operazione che fai il due per cento sta tutto da un lato”: così parlava in un’intercettazione Emilio Alario, arrestato mercoledì 20 dicembre. Alario, che torna in prigione dopo essere uscito nel 2014 per avere scontato una condanna per associazione mafiosa, parla del 2 per cento sulla cifra complessiva per la mediazione in una compravendita. Eccolo il “sistema” dell’associazione mafiosa che esercitava un controllo capillare sulla provincia di Trapani, all’ombra della latitanza di Messina Denaro.
Furti, estorsioni, mediazioni immobiliari, supermercati e aste giudiziarie: tutto rientrava nel diretto controllo delle famiglie mafiose, costrette, peraltro, a mantenere spese di giustizia pari a “92mila euro” suddivisi tra gli associati in quote minori. Questo emerge dall’ordinanza firmata dal gip Filippo Serio su richiesta dei pm Francesca Dessì, Gianluca De Leo e Pierangelo Padova. Tre arresti, di cui uno ai domiciliari e due in carcere, per Giovanni Vassallo (ai domiciliari), Emilio Alario e il genero Giuseppe Lodato, entrambi in carcere.
Una delle quote era pari a “2500 euro”, secondo quanto registrato da una conversazione intercettata nel gennaio del 2016 tra Vassallo, Luca Burzotta (appartenente ad una delle più importanti famiglie del mandamento di Mazara, fratello di Diego Santino Burzotta, killer di Cosa nostra, condannato all’ergastolo) e Giovan Battista Agate (fratello del boss di Mazara del Vallo, Mariano). Sono gli anni in cui Matteo Messina Denaro è ancora latitante e per questo si cerca un covo per lui in Tunisia. A cercarlo è proprio Vassallo, socio del collaboratore di giustizia, Giuseppe Grigoli, l’imprenditore che costruì un impero nel settore della grande distribuzione, considerato nella cerchia dei fedelissimi di Messina Denaro. Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 “per quanto riferitomi dallo stesso Scimonelli (Domenico, fedelissimo di MMD, in carcere dal 2015 ndr), questi aveva chiesto a Vassallo la possibilità di trovare un rifugio a Messina Denaro a Tunisi. Dopo qualche giorno mi recai a Mazara del Vallo per ottenere la risposta e Giovanni Vassallo mi invitò di riferire a Scimonelli di raggiungerlo a Mazara del Vallo in quanto, evidentemente, aveva individuato il posto dove poter ospitare a Tunisi il latitante”, così racconta il collaboratore, Attilio Pietro Fogazza nel 2016. Aggiungendo anche: “Ho assistito ad una discussione di Vassallo Giovanni con Scimonelli nella quale il primo, a seguito del sequestro di beni del centro di distribuzione di Castelvetrano, si preoccupava del fatto che avrebbero avuto difficoltà per concorrere, attraverso l’invio di denaro, a sostenere economicamente il latitante Messina Denaro”.
Le dichiarazioni del collaboratore hanno trovato poi riscontro nei pedinamenti dei carabinieri che hanno confermato quanto poi raccontato da Fogazza, e cioè che in quel periodo ci furono molti incontri tra Scimonelli, Vassallo e il collaboratore: “Tra il 2010 e il 2012 Vassallo aveva intrattenuto costanti rapporti con persone che si recavano periodicamente in Tunisia” si legge nell’ordinanza firmata da Serio. Peraltro come ricostruito dal Ros tra il gennaio e il febbraio 2015 sono stati registrati frenetici contatti fra Scimonelli e Gaspare Como, cognato della primula rossa di Casteveltrano, marito della sorella Bice, incaricato in quel periodo di gestire la comunicazione per il latitante. Sempre per mantenere la latitanza del boss, Vassallo – secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – aveva partecipato alla rapina di un tir che trasportava pesce, appena sbarcato a Palermo. Un bottino di 65mila euro da destinare al boss, per il quale sono stati già condannato Scimonelli, Bartolomeo Anzalone e Vincenzo Napoli. “La merce era destinata a Vassallo, il quale era in attesa a Mazara del Vallo dell’arrivo del mezzo per poter poi vendere la merce a commercianti di prodotti ittici mazaresi”, ha raccontato il pentito.
“Da tutto quanto sopra esposto, può dirsi quindi accertato che Giovanni Vassallo è stato certamente inserito nel circuito comunicativo e di sostentamento di Matteo Messina Denaro”, all’epoca in cui era latitante. Fu poi Vassallo ad interessarsi all’assunzione di Lodato, chiesta dal suocero Alario: “Appena c’è disponibilità gli diamo un posto”, nel pomeriggio del 5 novembre del 2016, Vassallo riceveva, infatti, nel suo supermercato, un altro imprenditore, al quale rivolgeva la richiesta per un picciuteddu bravo, ovvero Lodato. Suocero di Lodato, già condannato in via definitiva per avere fatto parte del mandamento di Mazara del Vallo a partire dal 1982, uscito di carcere nel 2014, e affidato ai servizi sociali fino al 2017, i Ros hanno adesso accertato che Alario avesse ripreso l’attività mafiosa, anche “con libero arbitrio”, come si legge in un’intercettazione. Secondo Marco Buffa e Piero Di Natale, già condannati per mafia e intercettati il 21 dicembre del 2020, Alario operava in “libero arbitrio” cioè senza il benestare dell’associazione, neanche quello del boss Vito Gondola, di cui Alario è il nipote acquisito, perché Gondola aveva affidato l’incarico del mandamento a Dario Messina. E grazie all’interessamento di Vassallo, il picciuteddu bravo era stato assunto come responsabile Ati dell’isola ecologica di Petrosino, e secondo i due intercettati questo aveva consentito ad Alario di comandare nella “gestione dell’appalto per il servizio di raccolta rifiuti per il Comune di Petrosino e di riscuotere direttamente dai titolari dell’azienda anzidetta”. Secondo Buffa e Di Natale, Alario riscuoteva estorsioni che poi non faceva pervenire nelle casse dell’associazione mafiosa. Mentre, sempre secondo quanto ricostruito dai carabinieri del Ros il genero Lodato era il suo uomo di fiducia e curava per lui le comunicazioni con altri associati mafiosi, gestiva gli spostamenti e organizzava gli incontri con altri associati. Tre arresti quelli di mercoledì che confermavano la rete di sostegno a favore della latitanza del boss, catturato dopo 31 anni di latitanza, solo lo scorso 16 gennaio, 8 mesi prima della morte del boss, ormai gravemente malato.