Partimmo. Nient’altro che la strada. Senza una meta, senza una ragione. Tutto il resto non importava più. Ci bastava essere l’uno accanto all’altra, sfiorandoci con gli occhi, con le mani. Asel’ mi sistemò meglio il berretto da militare. ‘Così è più bello!’ disse stringendosi teneramente a me. Il camion volava nella steppa come un uccello. Un nibbio appollaiato sulle rovine di un antico kunbez si librò in volo, sbatté le ali e planò basso sulla strada, come per sfidarci a gara.

Činghiz Ajtmatov è sicuramente una delle figure più importanti della cultura del Kirghizistan. Ministro di Gorbacëv durante la Perestrojka, ambasciatore in Lussemburgo e in Belgio, Ajtmatov, come diplomatico, ha sostenuto cause e battaglie delle minoranze etniche. Come politico è stato fra i pionieri, negli anni Cinquanta, dell’ambientalismo e del pacifismo. Nei suoi romanzi emerge un forte interesse per la cultura e il folclore della steppa. Un interesse reso esplicito attraverso il lirismo e l’allegoria, e grazie alla capacità di ricreare e sintetizzare i racconti popolari orali nel contesto della vita contemporanea.

La ragazza con il fazzoletto rosso (traduzione di Ljiljana Avirović; Marcos y Marcos) narra splendidamente di un viaggio tra le aride montagne kirghize. Seduto in uno scompartimento di un treno, un viaggiatore racconta la sua storia. Racconta di Asel’, con la giacca troppo grande e un fazzoletto rosso in testa, di quando guidava un camion e la prese a bordo. È una narrazione quasi epica, fatta di villaggi sperduti, paesaggi infiniti, cavalli selvaggi, laghi e ghiacciai. Un viaggio in cerca della libertà. Una fuga, una sfida estrema alla tradizione e all’ottusità della famiglia.

Il battello bianco (traduzione Gigliola Venturi; Marcos y Marcos), racconta di un bambino magro e con le orecchie a sventola, rimasto orfano, affidato alle cure di nonno Momun. La storia è ambientata tra le foreste della Kirghisia, in un posto di guardia affacciato su un torrente e dominato dalle vette delle montagne, e mentre il bambino attende il passaggio dei pastori per giocare con altri ragazzini, sogna di trasformarsi in un pesce per nuotare fino al lago, guarda la cima del Monte Sentinella con un binocolo, osserva i lavoratori del sovchoz, il nonno è per i boschi con Orozkul, la guardia forestale, bevitore violento, e questa loro marcia dà al romanzo il ritmo di un noir torbido, dove il compromesso diventa la posta in gioco per la sopravvivenza quotidiana.

Il primo maestro (traduzione di Guido Menestrina; Marcos y Marcos) è la storia di un giovane maestro, poco più che analfabeta, che rimette in sesto una vecchia stalla per permettere ai bambini del villaggio di avere una scuola. Li va a prendere a casa ogni mattina e li conduce verso il concreto desiderio di apprendere.

Činghiz Ajtmatov dimostra, nei suoi romanzi, di essere uno scrittore attualissimo, attento alla tradizione e al futuro delle minoranze, capace di ricreare i ritmi di vita naturali nello scontro con l’avvento del progresso. Descrive la condizione umana attraverso sequenze liriche e parabole che lo fanno entrare di diritto nel Politbüro ideale dei grandi scrittori della galassia sovietica e post-sovietica.

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