di Matteo Bortolon
Mentre i segnali preoccupanti sul declino dell’economia dell’eurozona si moltiplicano – fra gli ultimi: Michelin delocalizza siti produttivi in Germania, lasciando a casa 1500 lavoratori – il ruolo gregario della Ue verso le politiche Usa non mostra inversioni di marcia. Ieri sull’Ucraina, oggi su Gaza. Ancora una volta si assiste ad una serie di rivolgimenti nella narrativa mainstream che potremmo chiamare pensare l’impensabile: dogmi sostenuti con fanatismo per anni e anni si sciolgono in uno stormir di fronde appena conviene agli interessi dominanti.
A fronte delle critiche della Ue sul piano economico e politico i suoi difensori si rifugiavano nel più rarefatto idealismo. Per esempio nel “sogno” della Federazione Europea che non solo avrebbe sostanziato la aspirazione alla pace ma avrebbe costituito un polo alternativo per controbilanciare l’egemonia Usa. Di tale aspirazione nessuno parla più, visto l’imbarazzante scodinzolare dei vertici unionisti alla linea Usa-Nato. Niente più “polo alternativo” (anzi proprio niente polo e basta, direi) e niente più pace.
E la sovranità? Quando si trattava di smorzare la deriva oligarchica delle cessioni di sovranità pareva una categoria da museo – o meglio da discarica. L’avanzata delle truppe russe ha ispirato un accorato contrordine: inammissibile la lesione di sovranità! Bisogna reagire a costo di rischiare l’ecatombe nucleare! Ma solo quella di Kiev, la autodeterminazione di palestinesi e saharawi suscita meno entusiasmo – chissà perché.
L’Europa sarebbe stata pure un progetto contrario ai nazionalismi e – naturalmente – ai fascismi. Ma la esecrazione non si estende ai neonazisti ucraini, pienamente riconosciuti da Zelensky. E mentre al nazionalista Orban si indica infastiditi la via d’uscita, il nazionalismo polacco è benvenuto e sempre più influente in Ue. Evidentemente c’è nazionalismo e nazionalismo, anche quando assumendo tratti nazistoidi, purché faccia comodo alla Nato.
Altro punto interessante. L’integrazione europea sarebbe stata il riflesso e al tempo stesso la premessa di forme di interdipendenza più vaste, globali: investimenti e commercio avrebbero smorzato i conflitti e portato alla pace – con una spruzzata di cosmopolitismo sul versante culturale. Esattamente l’opposto delle sanzioni verso la Federazione Russa, presto diventate la bandiera dell’Occidente e contrassegno dei “veri democratici”.
Sanzioni che hanno anche investito le persone, l’informazione, e diritti basilari. La Ue si è molto costruita simbolicamente col concetto di “stato di diritto”: valori democratici, diritti, libertà civiche, non-discriminazione. Ed invece si è discriminato senza imbarazzi persone dotate di cittadinanza russa a meno che non facessero pubblica professione di “antiputinismo”; subordinare il posto di lavoro o l’attività professionale alla esibizione di una “corretta” opinione politica… e meno male che sono i russi ad avere un regime autoritario.
Si potrebbe continuare. Ma è chiaro che la negazione di fatto di ideali sbandierati per decenni non solo ne mostra la strumentalità e falsità. Indica chiaramente che si tratta di una identità vuota. Qualcosa in cui ci si identifica senza contenuti realmente vincolanti, ma che possono essere buttati a mare senza grandi conseguenze. Disvela in tal modo l’essenza reale dell’organismo comunitario, cioè l’economia finanziarizzata, l’asservimento alle imprese, la primazia della concorrenza, il dispositivo dì governance antidemocratica e la fedeltà alla politica degli Usa.
Tali realtà è facile capire come siano contrarie all’interesse dei cittadini e ad ogni concezione di democrazia, perciò occorre infiocchettarle di qualche ideale che le renda accettabili con una narrazione che non ha la funzione di descrivere i principi funzionali di tale realtà, ma di intercettare le idealità di un certo mondo intellettuale e di una certa fetta di opinione pubblica per mostrarne la (illusoria) corrispondenza con gli effettivi organismi Ue in modo da costruire un consenso ad essi.
Ma tutto ciò è una illusione, e il risveglio può essere molto brusco.