Il forziere del mondo al voto. Giovedì la Repubblica Democratica del Congo andrà alle urne, in una situazione tesissima e incerta. I congolesi saranno chiamati a scegliere non solo il nuovo presidente, ma anche deputati e senatori e, per la prima volta in assoluto, anche i rappresentanti nelle amministrazioni locali. La campagna elettorale si è chiusa il 18 dicembre con toni di fuoco: Félix Tshisekedi, nella capitale Kinshasa, davanti alla folla ha affermato fra le altre cose di essere stanco di esse preso in giro dal presidente rwandese e di essere ormai pronto a dichiarare formalmente guerra, se necessario. Solo venerdì scorso, durante un comizio elettorale a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, nell’est del Paese, aveva paragonato il presidente rwandese Paul Kagame a Adolf Hitler: “Siccome si comporta come Hitler, gli dico che farà la fine di Hitler”. Parole che di certo infiammano la platea e l’elettorato. Ma non bastano a far dimenticare alla popolazione le tante, troppe promesse disattese in questi cinque anni di mandato. Sono una ventina i contendenti pronti a sfidarlo, ma solo due o tre hanno qualche reale chance, in un’elezione che si giocherà a turno unico. Per questo, alcuni dei 26 candidati ammessi hanno nel frattempo rinunciato alla corsa presidenziale e optato per un apparentamento. Fra loro, anche una delle sole due donne in corsa.
La corsa del premio Nobel
A livello internazionale, ha ottenuto grande visibilità la discesa in campo del premio Nobel per la pace 2018, il dottor Denis Mukwege, che ha rotto gli indugi a settembre, dopo le forti insistenze della società civile: basti dire che i 100mila dollari necessari come cauzione per potersi candidare sono stati raccolti dalla gente, da uomini e soprattutto donne comuni che hanno donato ciò di cui disponevano per poter garantire al dottore la candidatura. In queste settimane, la sua campagna elettorale è stata coerente col messaggio che da anni Mukwege porta avanti in ogni contesto internazionale in cui si trova: giustizia sociale, pace, equa distribuzione delle ingenti ricchezze del Paese, perseguimento nelle sedi giudiziarie nazionali e internazionali di chi si è macchiato per vent’anni di crimini di guerra e contro l’umanità. I suoi avversari hanno trovato due soli argomenti per attaccarlo: sostengono che sia troppo legato all’Occidente e troppo vergine politicamente, quindi troppo inesperto e non in grado di dare concretezza alle parole di pace e giustizia. In molti però continuano a sperare e sognare un Paese diverso, sotto una guida illuminata e al di sopra delle logiche corruttive e correntizie della losca politica dei palazzi.
Gli altri contendenti
Secondo gli analisti e gli osservatori dell’intricato panorama politico congolese, lo sfidante con maggiori chances sarebbe piuttosto Moïse Katumbi, ex governatore della provincia mineraria del Katanga, ricchissimo uomo d’affari che ha dispiegato tutta la sua potenza economica in queste settimane di campagna elettorale. E contro di lui si sono concentrate critiche e attacchi della maggioranza presidenziale, con accuse di ogni genere, fra cui quella di non essere al 100% congolese: Katumbi infatti è figlio di un ebreo sefardita di nazionalità greca fuggito da Rodi nel 1938. Pochi giorni fa il vicepremier e ministro della Difesa Jean Pierre Bemba – già condannato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja e rientrato in politica dopo aver finito di scontare la pena – aveva affermato in pubblico di essere in possesso di informazioni sensibili secondo cui Katumbi avrebbe finanziato “un’associazione russa” per intervenire nella manipolazione dei risultati del voto elettronico.
Il voto elettronico
Già, perché in un Paese vasto e senza infrastrutture come la Rd Congo, dove buona parte della popolazione ha un grado di istruzione molto basso, si andrà a votare con le DEV (Dispositivi elettronici di voto). Non solo un touchscreen su cui indicare il proprio candidato, ma una procedura lenta e farraginosa, con diverse schermate da cui provare a selezionare i propri candidati presidenziali, legislativi e locali. Le difficoltà saranno notevoli per parecchi dei votanti. E le possibilità di brogli aumentano. Parliamo di oltre 75mila boureaux de vote con la disponibilità di 26mila DEV, per quasi 44 milioni di elettori registrati, su una popolazione di 102 milioni sparsi su un territorio vastissimo.
Sfide logistiche
Fino a pochissimi giorni fa, i materiali elettorali e i DEV nemmeno erano stati ancora consegnati a tutti i seggi. La sfida logistica resta una delle più impegnative, in un paese grande come l’Europa occidentale e privo di strade. Cinque anni fa, un grosso contributo in questo senso era stato fornito dai caschi blu della Missione Monusco. Ma ora Tshisekedi ne ha chiesto il ritiro e la missione è fortemente depotenziata e resta attiva solo nell’est del Paese, ma ancora per poco: proprio alla vigilia del voto il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha sancito il suo ritiro, con partenza graduale dei caschi blu a partire dalla fine di questo mese. Ancora oggi, dunque, aerei congolesi, col supporto di due elicotteri del Congo Brazzaville e due aerei dell’esercito egiziano stanno volando per consegnare i materiali sensibili. In alcune zone, si è valutato che non potevano essere consegnati prima per ragioni di sicurezza e ordine pubblico. Ragioni legate alla sicurezza nazionale sono state invece addotte dai servizi congolesi per impedire il dispiegamento degli osservatori dell’Unione Europea: era stato loro negato il permesso di portare con sé telefoni satellitari, boicottando così di fatto la missione.
L’assenza degli osservatori
Dell’ultimo minuto è anche il rifiuto di accesso agli osservatori dell’East African Community, specie dopo la clamorosa notizia della nascita di un nuovo movimento politico-militare che fa paura: l’annuncio è stato dato con una conferenza stampa da Nairobi, dove di fianco al presidente dell’M23 Bertrand Bisimwa incredibilmente sedeva Corneille Nangaa, che è stato a capo della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente che cinque anni fa aveva sancito la contestata vittoria di Félix Tshisekedi. Scaduto il suo mandato, lo scorso febbraio aveva annunciato la volontà di candidarsi alle presidenziali. A settembre aveva accusato Tshisekedi di mentire, quando nega l’esistenza di un accordo elettorale fra lui e il predecessore Kabila. Da qui l’esilio e ora l’annuncio della nascita dell’Alliance Fleuve Congo, che già dal nome ambisce a estendere la sfera d’influenza dei “ribelli” dell’M23, con l’obiettivo dichiarato della “rifondazione dello Stato”. Una mossa letta da Kinshasa come alto tradimento.
Sfide securitarie
Alle urne non andranno però tutti gli aventi diritto: i congolesi che vivono in due zone sotto controllo di forze “ribelli” non potranno votare. Parliamo del territorio di Kwamouth nella provincia occidentale del Maï-Ndombe, ma soprattutto di tre territori nella provincia del Nord Kivu: la parte dei territori di Masisi, Niyragongo e Rutshuru che è sotto controllo del gruppo M23, gruppo armato dietro cui si nasconde il piccolo e potente Rwanda (come documentato e denunciato da anni da varie ong e dalle stesse Nazioni Unite). La città capoluogo della provincia, Goma, voterà, ma sotto altissima tensione: da settimane infatti è circondata dai miliziani, per ora ancora libera, ma asfissiata da mancanza di cibo e con prezzi alle stelle, poiché l’M23 controlla le vie d’accesso alla città e lascia passare col contagocce i rifornimenti. Una situazione potenzialmente esplosiva da tanti punti di vista, che rischia di deflagrare soprattutto dal 31 dicembre, giorno fissato per la proclamazione del vincitore.