Lorenzo Codogno è fondatore di LC Macro Advisors e visiting professor alla London School of Economics & College of Europe. In precedenza è stato capo economista del ministero dell’Economia e delle Finanze (2006-2015) e di Bank of America a Londra (1998-2006).
Cosa sarebbe cambiato di fondamentale con la riforma?
La vera novità della riforma del trattato sul Meccanismo di Stabilità Europea (Mes) è la possibilità di utilizzare la sua enorme potenzialità finanziaria come backstop per il fondo di risoluzione unico per le banche (SRF). Il Fondo è stato istituito dall’Ue per la risoluzione delle banche in stato di fallimento nel contesto dell’Unione bancaria, ed è finanziato dai contributi del settore bancario e non dal denaro dei contribuenti. Però, nel caso in cui le disponibilità finanziarie del SRF si esaurissero, una situazione non improbabile viste le sue attuali esigue consistenze, il Mes può fungere da supporto, cioè mettere a disposizione una linea di credito rotativa. Potrebbe divenire estremamente utile nel caso, al momento non in vista, di dover liquidare una banca e nel contempo preservare la sua operatività. Come l’esperienza insegna, una tale situazione porterebbe alla difficoltosa e urgente ricerca di un compratore e il fondo darebbe un’essenziale finanziamento ponte, preservando l’operatività della banca e dando garanzie di continuità ai suoi clienti.
L’Italia, dopo la Grecia, è il paese Ue con il debito più alto. Qualcuno dice che il Mes nasca proprio con il primario obiettivo di gestire una possibile futura crisi debitoria del nostro paese. L’Italia ha più da perdere o più da guadagnare con questa riforma?
Come è accaduto in passato, il Mes può anche essere utilizzato per dare supporto finanziario agli stati in difficoltà. L’esperienza del passato è stata favorevole ed i paesi dell’Ue che si sono avvalsi del suo supporto ne hanno tratto beneficio per la loro stabilità economica e finanziaria. Ovviamente, questo supporto può avvenire soltanto con una condizionalità adeguata. La riforma nella sua versione iniziale lasciava adito a qualche perplessità. Ma queste perplessità sono venute meno con la versione più aggiornata che è poi stata approvata da tutti i paesi. L’Italia è l’unico paese che non ha approvato il trattato, e questo ovviamente è imbarazzante. Così facendo non solo fa venir meno questo possibile aiuto finanziario in caso di difficoltà, ma non permette neppure che ne facciano uso altri paesi che hanno già accettato le modifiche al trattato.
Come si spiega questa opposizione così ostinata alla ratifica? Pensa si tratti solo di una questione politica o riconosce una qualche consistenza a qualcuna delle ragioni di merito che vengono addotte? (Ad esempio la possibilità di un’istituzione non politica di imporre riforma ad uno Stato che vanno ad intaccare anche politiche sociali)
L’opposizione è soprattutto di natura ideologica. Alcuni partiti si sono spinti troppo oltre nel contrastare il nuovo trattato e ora si sono trovati in difficoltà a giustificare un cambiamento di rotta. Vi sono anche problemi di sostanza, perché le critiche sono inconsistenti. Inoltre, le tempistiche sono state sbagliate. Per il nuovo governo era troppo tardi per poter aver voce in capitolo nella modifica del trattato, poiché era già stato accettato da quasi tutti gli altri paesi, e a quel punto poteva solo bloccare il processo. Ma bloccandolo, vi è un problema è di metodo. Per raccogliere consensi sulla propria posizione, il governo avrebbe dovuto lavorare con molta pazienza dietro le quinte per convincere altri paesi della bontà delle proprie ragioni, anziché minacciare un veto. In sostanza, esiste un galateo istituzionale non scritto quando si parla di relazioni tra paesi all’interno dell’Unione europea e dell’Eurozona. Non rispettarlo può comportare contraccolpi e problemi in futuro.
Quando era presidente del Consiglio Mario Draghi non ha mai affrontato il tema della ratifica e nei confronti dello strumento Mes è sempre sembrato tutto sommato piuttosto tiepido. Nella sua visione di un’Europa più unita e che gradualmente evolve verso una federazione di stati, un Mes sarebbe comunque necessario?
Questo non è vero. Draghi ha sempre avuto una posizione europeista a favore delle istituzioni europee e dei suoi strumenti. Semplicemente il governo Draghi era troppo debole e la sua maggioranza parlamentare troppo variegata per trovare un consenso parlamentare che ne consentisse l’approvazione. Quindi ha preferito affrontare questioni più urgenti e importanti, non così divisive come il Mes. E’ ovvio che il Mes è uno strumento di transizione verso una piena unione economica e politica, che però è ancora molto lontana. Nel frattempo, avere uno strumento che possa risultare utile in tempi di crisi dovrebbe essere un obiettivo condiviso da tutte le forze politiche, lasciando da parte prese di posizione ideologiche.