Dopo mesi di melina per evitare di andare al voto, con tanto di auto ostruzionismo in Aula, il governo Meloni ha deciso in extremis di rompere gli indugi. E bocciare, nell’aula della Camera, la ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Che sia un’arma di distrazione di massa rispetto all’esito dei negoziati sul nuovo Patto di stabilità o il tentativo di ottenere improbabili “modifiche al trattato” come auspica Palazzo Chigi, il colpo di scena fa emergere plasticamente le spaccature nella maggioranza (ma pure nelle opposizioni) e “sfiducia Giorgetti“, attaccano i dem. Di certo il parere contrario presentato in commissione dalla relatrice dei Fratelli d’Italia motiva il “no” con argomenti in evidente contrasto con i pareri trasmessi dal ministero dell’Economia lo scorso giugno e da ultimo solo il 20 dicembre.
La riforma – Un passo indietro. L’oggetto del contendere era il via libera alla riforma firmata dai 20 Paesi dell’Eurozona nel gennaio 2021 e nel frattempo ratificata da tutti i Parlamenti nazionali tranne quello italiano. In sintesi, le novità previste nel testo attribuiscono nuovi compiti al fondo permanente di salvataggio nato nel 2012 e dotato di 700 miliardi di capitale sottoscritto di cui 80,5 versati. Potrà fare da paracadute di ultima istanza in caso di gravi crisi bancarie – con il rischio, nella narrazione di Matteo Salvini, che “pensionati e lavoratori” debbano “pagare il salvataggio di banche straniere” – e concedere prestiti precauzionali a Stati in difficoltà finanziaria ma con un debito “sostenibile” sulla base di una valutazione discrezionale di Mes e Commissione Ue. Lo spauracchio agitato dai detrattori è che, in caso di esito negativo, potrebbe essere imposta la ristrutturazione, ovvero un default. Esito favorito da altre modifiche tecniche disposte dalla riforma (l’introduzione dei titoli di Stato emessi dopo l’approvazione di clausole di azione collettiva “a singola deliberazione”). Ovviamente, chiedere quei prestiti e sottostare alle relative condizioni resterebbe comunque una decisione dei singoli governi.
Il ddl di ratifica e la valutazione del Mef – Il ddl che ratifica la riforma, presentato dal Pd un anno fa, è molto scarno: quattro articoli che si limitano ad autorizzare il capo dello Stato a ratificare l’accordo del 2021, prevedere che a quell’accordo sia data piena esecuzione dalla data di entrata in vigore e precisare che dall’attuazione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Lo scorso giugno è arrivato per la prima volta nell’Aula di Montecitorio. In quell’occasione il capo di gabinetto del Mef ha inviato al Parlamento una nota (vedi sotto) con “elementi informativi” sugli effetti della ratifica dal punto di vista della finanza pubblica. Confermando che non ne derivano nuovi oneri diretti. Impatti indiretti potrebbero manifestarsi “qualora le modifiche apportate con l’accordo rendessero il Mes più rischioso e quindi maggiormente probabile la riduzione del capitale versato o la richiesta di pagamento delle quote non versate nel capitale autorizzato”. Ma, argomentava il Tesoro, “non si rinvengono nell’accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio legato a suddetta istituzione” e “non si ha notizia che un peggioramento del rischio del Mes sia stato evidenziato da altri soggetti quali le agenzie di rating”. Anzi, “sulla base di riscontri avuti da analisti e operatori di mercato, è possibile che la riforma del Mes, nella misura in cui venga percepita come un segnale di rafforzamento della coesione europea, porti una migliore valutazione del merito di credito degli Stati membri aderenti con un effetto più pronunciato per quelli a più elevato debito come l’Italia”.
Da allora la maggioranza ha continuato a prendere tempo, tra questioni sospensive legate anche ai contemporanei negoziati sulla riforma del Patto di stabilità – approvata mercoledì – e riformulazioni del calendario dei lavori. Mercoledì la situazione ha iniziato a sbloccarsi con l’intervento in commissione del sottosegretario Federico Freni. Il leghista ha ribadito, forte di una nota dell’ufficio legislativo del Mef (vedi estratto), che per via XX Settembre anche nel caso il Mes fosse chiamato ad approntare il dispositivo di sostegno al Fondo di risoluzione unico per le banche “non vi sarebbe un incremento apprezzabile delle probabilità che l’Italia debba versare quote di capitale“. Come invece avevano sostenuto altri esponenti del Carroccio. Per il nuovo compito serviranno infatti al massimo 68 miliardi e il meccanismo ha già oggi una capacità di prestito che raggiunge i 500.
Il parere contrario di Fratelli d’Italia – Così si arriva al 21 dicembre, quando la deputata di FdI Ylenja Lucaselli, relatrice del disegno di legge, ha presentato in commissione Bilancio il parere contrario alla ratifica poi approvato e trasmesso all’aula. Il suo testo è stato in parte modificato in corsa dopo le critiche delle opposizioni, ma il contenuto resta incompatibile con le valutazioni del Tesoro.
La proposta viene definita “carente di meccanismi idonei a garantire il coinvolgimento del Parlamento nel procedimento per la richiesta di attivazione del Meccanismo europeo di stabilità, con ciò escludendo le Camere da procedure di significativo rilievo sul piano delle scelte di politica economica e finanziaria”. E si aggiunge che questo “potrebbe incidere sulla possibilità per il Parlamento di monitorare in modo adeguato eventuali effetti indiretti della ratifica del Trattato, considerando che la mera richiesta di versamento di ulteriori quote di capitale“, ai sensi dell’articolo 9 del trattato istitutivo del Mes, “si prospetta come cogente rispetto ad ogni impegno di finanza pubblica, determinando intuibili effetti a carico della finanza pubblica”. Effetti esclusi dal Mef.
Quanto al coinvolgimento del Parlamento, l’articolo 9 del trattato sul Mes in base al quale il consiglio dei governatori “può richiedere il versamento in qualsiasi momento del capitale autorizzato non versato” dai Paesi membri in effetti non lo prevede. Ma non è oggetto della riforma di cui si discute: quell’articolo rimane identico alla versione del 2012. E di sicuro non può modificarlo la legge di ratifica di uno solo dei Paesi coinvolti. Le Camere sarebbero comunque chiamate in causa nel momento in cui il governo fosse chiamato a trovare risorse fresche e chiedesse il via libera a uno scostamento di bilancio.