Escluse perché donne. È quello che è successo alle 107 aspiranti ispettrici di Polizia penitenziaria che hanno ricevuto il 19 dicembre l’esito di un concorso uscito nel 2021. Metteva a bando 411 posizioni per allievi vice ispettori ma poneva un vincolo di genere: c’era posto per 378 uomini e 33 donne. Il risultato è che, oltre ad avere meno rappresentanza, se ai candidati maschi erano sufficienti 13 punti per vincere, alle poliziotte non ne bastavano nemmeno 17.
L’esame prevedeva tre prove: un quiz giuridico, un tema e un esame orale su sette materie contenenti elementi di diritto penale, processuale penale, penitenziario, ordinamento dell’amministrazione penitenziaria, costituzionale, amministrativo, diritto civile nelle parti concernenti le persone, la famiglia, i diritti reali, le obbligazioni e la tutela dei diritti. Tra idonei con lo stesso punteggio, avrebbero prevalso i titoli.
La gara però non era ad armi pari: solo l’8% dei vincitori poteva essere donna. “È una discriminazione enorme che viene messa in atto in un ruolo di coordinamento e concetto”, dicono a ilfattoquotidiano.it Michele Di Sciacca, segretario generale aggiunto del Sindacato nazionale autonomo di Polizia penitenziaria (Sinappe) e Desirée Moltisanti, segretaria provinciale di Milano. “Non esiste per gli ispettori la necessità che il coordinamento di un reparto detentivo sia affidato a un soggetto dello stesso sesso, come accade invece per mansioni esecutive, ad esempio per gli agenti che svolgono servizi di Istituto”, continuano i due sindacalisti.
Delle escluse dal concorso, tagliate fuori con punteggi uguali o maggiori a quelli dei colleghi maschi vincitori, 44 aspiranti ispettrici intendono presentare ricorso al Tar perché vedono nel bando una disparità di trattamento. A favore dell’eliminazione della distinzione tra i sessi nel ruolo di ispettore della Penitenziaria di recente si è espresso il Consiglio di Stato che, in un parere dell’8 novembre 2023 (n. 1449), citando un rinvio della Corte di giustizia dell’Unione europea, ha chiesto che prevalga “l’esigenza di certezza di assicurare a tutti la tutela del diritto fondamentale alla parità di genere e non discriminazione nell’accesso al lavoro”.
In effetti, la suddivisione prevista dal concorso del 2021 è conforme alle leggi attuali, che però sono più arretrate rispetto a quelle vigenti per altri corpi. Chi farà ricorso quindi, oltre a non avere immediato accesso alla carica per cui sarebbe idonea, dovrà pagare di tasca propria le spese legali per vedersi riconosciuto un diritto costituzionale di base, quello all’uguaglianza. E solo una modifica del regolamento potrebbe cambiare le cose: “Questa situazione palesa l’ennesima discriminazione del ruolo della donna nella Polizia penitenziaria, l’unico corpo in cui si fa ancora distinzione tra i generi – dicono Moltisanti e Di Sciacca – Tale ripartizione è stata fatta per l’esistenza di piante organiche, suddivise tra uomini e donne, superabili solo con una legge che parifichi il ruolo”.