Un Consiglio di amministrazione disertato che apre la strada al commissariamento. La crisi dell’ex Ilva è a un passo dal precipitare con lo stallo dai soci destinato a finire in tribunale, aprendo le porte al commissariamento da parte del governo per evitare il fallimento. La questione è tecnica ma appare come una strategia del governo per isolare ArcelorMittal e rimettere le mani su Acciaierie d’Italia, partecipata al 38% da Invitalia, prima che la consunzione porti allo spegnimento definitivo, aprendo un problema occupazionale ingovernabile. Nelle ultime 48 ore, sostanzialmente dopo l’incontro con i sindacati di lunedì a Palazzo Chigi nel quale l’esecutivo non ha fornito alcuna risposta, si sono mosse le pedine. La prima è stata la decisione di Invitalia di disertare il Cda nel quale si sarebbe dovuta discutere una proposta di delibera per l’aumento di capitale di 320 milioni di azioni a un euro l’una.
Cosa prevede la proposta – La proposta di delibera dispone di dare termine a ciascun socio per l’esercizio dell’opzione fino al 31 gennaio 2024, con diritto di prelazione a ciascun socio sulle eventuali azioni rimaste (per le quali non è stato esercitato il diritto di opzione) dall’altro socio, da esercitare entro i successivi dieci giorni, e cioè entro il 10 febbraio 2024. Si prevede anche di delegare il consiglio di amministrazione, e per esso l’amministratore delegato pro tempore, di offrire a terzi entro il 15 marzo 2024 le azioni eventualmente non sottoscritte, allo stesso prezzo di sottoscrizione di un euro per azione. Un possibile allargamento della base societaria, insomma. Ma i tempi sono lunghi, le incertezze tante e l’impostazione dell’aumento appare come una tattica da parte di Mittal per prendere ulteriore tempo.
La premessa dello scontro – L’assenza dei consiglieri di Invitalia è un chiaro “no” recapitato dal governo a Mittal. E così nell’assemblea si è andati allo scontro, con un nuovo nulla di fatto e la convocazione di un nuovo Cda per il 28 dicembre. Il governo continua a insistere per mettere Mittal messa all’angolo. La strategia, studiata ma tortuosa, è quella di proporre una “composizione negoziata della crisi”, una procedura alla quale possono accedere le imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario con alta probabilità la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato. L’idea è quella di proporre una salita di Invitalia al 60% attraverso la conversione del prestito obbligazionario da 680 milioni già versato, mentre Mittal scenderebbe al 40 per cento. Allo stesso tempo verrebbero negoziate – e quindi chiuse – le pretese risarcitorie accampate dal socio privato nella memoria di 12 pagine presentate nell’ultima assemblea.
Piano inclinato verso il commissariamento – La procedura prevede però in automatico la supervisione del tribunale e conclama il rischio che Acciaierie d’Italia fallisca. Così i fornitori dell’ex Ilva, con lo spettro di una vicenda incagliata a lungo e con lo scenario di una fallimento senza accordo tra i soci, potrebbero decidere di fermarsi. A quel punto la mossa per il governo sarebbe quasi automatica: commissariare Acciaierie d’Italia, come già era avvenuto con Ilva dopo la crisi dettata dall’inchiesta sulla famiglia Riva. Un dramma o esattamente il punto in cui l’esecutivo – o almeno una sua parte – intendeva arrivare così da estromettere Mittal e tentare il risanamento dell’azienda con un altro partner industriale? Del resto, davanti ai sindacati – appena due giorni fa – l’unica garanzia fornita era stata quella della “continuità aziendale”. E ancora poche ore fa, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha detto chiaramente: “Siamo convinti e lavoriamo affinché Ilva continui ad essere un polo produttivo anche e soprattutto con le prospettive della riconversione green. L’unica cosa certa è che l’Ilva continuerà a produrre”.