di Roberto Iannuzzi *
La scorsa settimana è stata terribile per il governo di Kiev, malgrado il “contentino” rappresentato dalla decisione dell’Ue di avviare colloqui di adesione all’Unione per Ucraina e Moldova. L’inizio dei colloqui è una misura essenzialmente simbolica. Essi potranno trascinarsi per anni, e nel frattempo molteplici nuovi ostacoli potranno frapporsi all’effettivo ingresso di Kiev nella famiglia europea. Ne sa qualcosa la Turchia, i cui negoziati di adesione ebbero ufficialmente inizio nel 2005 per venir poi “congelati” nel 2019, dopo essersi trascinati per anni senza grandi risultati.
Ben più importanti e urgenti per Kiev sono gli aiuti economici e militari, che invece non si sono materializzati. Il viaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Washington non è stato sufficiente a convincere i repubblicani del Congresso a sbloccare il pacchetto da 60 miliardi di dollari promesso dal presidente Joe Biden.
Nel frattempo, l’Ungheria ha sbarrato il passo alla tranche da 50 miliardi di euro destinata a sostenere finanziariamente il governo di Kiev. L’eventuale approvazione di entrambi i pacchetti è dunque rimandata a gennaio. In ogni caso, i fondi che arriveranno non saranno all’altezza dei due anni precedenti, osservano i vertici militari americani, e dunque l’Ucraina dovrà combattere sulla base di un budget più ridotto.
Alla luce della fallita offensiva condotta in estate e delle scarse risorse a disposizione, Kiev dovrà abbracciare una nuova strategia di natura essenzialmente difensiva. Il Pentagono l’ha definita una strategia “hold and build”. L’Ucraina dovrà concentrarsi sulla difesa (hold) dei territori attualmente controllati, rinunciando alla riconquista di quelli fin qui perduti, e sulla costruzione (build) di una propria capacità produttiva nel settore della difesa. Dovrà cioè produrre in proprio le armi di cui necessita, ma anche ricostruire un esercito che soffre ormai di una drammatica carenza di uomini.
L’illusorio scenario ancora una volta delineato dai responsabili americani è che l’Ucraina si riveli, malgrado tutto, un avversario sufficientemente ostico per la Russia da spingere Mosca ad impegnarsi in un negoziato tra la fine del 2024 e il 2025.
Il Pentagono ha anche deciso di inviare a Kiev il generale Antonio Aguto, di stanza in Germania, per lavorare direttamente con i vertici militari ucraini. È sostanzialmente il tentativo di imporre al comandante dell’esercito ucraino Valery Zaluzhny una tutela americana ancora più stretta. La presenza di Aguto a Kiev potrebbe però acuire le tensioni già presenti all’interno dell’apparato militare ucraino. Essa è imbarazzante per Zaluzhny. Inoltre rafforza l’idea che le operazioni belliche ucraine siano condotte direttamente da Washington.
Finora l’amministrazione Biden era stata riluttante a inviare a Kiev alti ufficiali dell’esercito per lunghi periodi, proprio per non dare a Mosca questa sensazione in maniera troppo marcata. Anche se poi i comandanti ucraini si consultavano regolarmente con i vertici Nato fuori dal paese.
La nuova strategia proposta da Washington presenta poi un altro problema. L’idea di difendere (hold) i territori attualmente controllati da Kiev si scontra con il fatto che i russi stanno avanzando, lentamente ma metodicamente, su gran parte della linea del fronte. Operazioni offensive si registrano lungo la linea Kupyansk-Svatove-Kreminna, a Bakhmut, ad Avdiivka, a ovest e sud-ovest della città di Donetsk e nell’oblast occidentale di Zaporizhia. L’unico tentativo offensivo ucraino, a Krynki, sulla riva sinistra del fiume Dnipro nell’oblast di Kherson, è stato invece descritto come una “missione suicida” dagli stessi soldati che vi sono impegnati, e sta accrescendo inutilmente le già ingenti perdite dell’esercito di Kiev.
Le forze ucraine soffrono di una grave scarsità di munizioni d’artiglieria, e in secondo luogo di sistemi di difesa aerea. Alla luce della situazione economica e demografica in cui versa il paese, l’idea di ricostruire un’industria bellica efficiente in loco appare velleitaria.
La difficile situazione militare acuisce le tensioni fra Zelensky e Zaluzhny, e le divisioni nel governo. Il mandato presidenziale di Zelensky scade formalmente nel maggio 2024, mentre i quattro anni della legislatura sono terminati a ottobre. Sebbene nuove elezioni siano state al momento escluse, l’attuale esecutivo potrebbe avere i giorni contati, se anche un esponente di spicco dell’Atlantic Council (think tank estremamente influente a Washington) si è spinto a teorizzare dalle pagine di Politico la necessità di un governo di unità nazionale allargato all’opposizione e ad esponenti della società civile.
L’interrogativo è se Zelensky, finora contraddistintosi per le sue posizioni massimaliste sugli obiettivi militari ucraini, sarà sufficientemente flessibile da cambiare il suo stile di governo. Se così non fosse, potrebbe essere costretto a uscire di scena.
Questione ancor più importante è fin dove si spingerà la Russia nella sua offensiva militare. I responsabili del Cremlino hanno ribadito che le condizioni per una risoluzione pacifica del conflitto non sono cambiate. Fra esse spicca l’adozione di uno status neutrale da parte dell’Ucraina. Fino a quando Kiev e Washington non accetteranno questa condizione, la campagna militare russa proseguirà.
*Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
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