Kawhi Leonard in accelerazione
Per capire quanto un giocatore come Kawhi Leonard incida nei destini dei Clippers, basta guardare la sconfitta di stanotte contro gli Oklahoma City Thunder (dopo 9 vittorie consecutive). Ah, Leonard era fuori per una botta all’anca sinistra rimediata contro Dallas. In generale, il giocatore rappresenta una delle evoluzioni tecniche più incredibili di sempre. Arrivato nella NBA (dall’Università di San Diego State) come ala-piccola molto atletica, ottimo in difesa e a rimbalzo, ma offensivamente tutto da inventare, con poco tiro, poche soluzioni, poca finezza, si è trasformato in uno degli swingmen più completi della lega. Non c’è soluzione in attacco che lo metta a disagio. Scocca il pull-up-jumper dalla media sfruttando il blocco con perfetto timing e morbidezza di polso, tira da tre in palleggio (ma anche in spot-up) con l’uomo addosso, addomestica la sfera in traffico come i più fini playmaker in circolazione. Della difesa è quasi superfluo parlare: non si vedeva un artista di questo calibro nella “prevent defense” (quando non devi far ricevere il tuo uomo) dai tempi di Scottie Pippen in maglia Bulls. Grande mobilità laterale quando deve coprire l’uno contro uno o recuperare su un close-out. C’è tanto Kawhi che entra in forma nella sorprendente striscia vincente che ha portato i Los Angeles Clippers da un avvio disastroso al quinto posto a Ovest (17 vinte; 11 perse). C’è tanto Kawhi, perché è lui il go-to-guy della squadra, il primo violino, l’uomo franchigia. Ma c’è anche altro.
C’è un gruppo di giocatori di primo piano che ha deciso di “cedere” qualcosa per il bene comune. Ecco, quindi, James Harden giocare da point-guard pura (ed entrare in forma), impostare il gioco in controllo, sfruttare il pick and roll centrale per servire i tagli di Zubac o scaricare sul perimetro, garantendo un miglior ritmo rispetto alle prime (critiche) gare. Il tutto senza rinunciare a fare paniere (che sa ancora fare, malgrado non sia più il cannoniere visto a Houston) e mettersi in proprio, come nella partita contro Indiana (35 punti e 9 assist con 8-11 da tre punti). C’è anche un Russell Westbrook che accetta di partire dalla panchina e guidare la seconda unit (soluzione indicata in questa rubrica qualche settimana fa) con una maggiore voglia di fare contenti gli altri e una migliore selezione delle proprie conclusioni offensive. Il tutto condito da un Paul George che fa quello che sa fare (ovvero mettere punti a referto con un mix ben amalgamato di conclusioni dal perimetro e in avvicinamento), un Norman Powell che – partendo dalla panca – è capace di exploit offensivi degni di nota, grazie alla sua capacità di segnare in tanti modi, ma soprattutto di giocare sia con la palla in mano che lontano dalla palla, di attaccare il canestro, ma anche di guadagnarsi da vivere tirando da fuori. Insomma, se i Clippers continuano a interpretare il resto della stagione con questa filosofia di gioco, potranno mettere paura anche alle grandi. Perché la concentrazione di talento è lì, tutta da plasmare in base agli avversari sera dopo sera, che non possono permettersi di raddoppiare troppo su una stella di prima grandezza come Kawhi, per dire, perché una soluzione per trovare il fondo della retina si può trovare sempre. Osserviamo con (tanta) curiosità e interesse.
Ja Moranti is back!
Ha fatto (quasi) più sciocchezze lui nei primi tre anni di carriera, che Dennis Rodman in maglia Chicago Bulls. Ha “giocato” con le armi da fuoco, è stato squalificato per 25 partite (senza stipendio), è stato accusato di essere immaturo, senza testa sulle spalle, uno “stupidotto”, da quasi tutti gli addetti ai lavori. Adesso è tornato. Se sta concentrato sul basket, se la smette di interpretare il ruolo di piccolo gangster di periferia (cosa che non è), stiamo parlando di uno che può arrivare al top della lega. È tornato nella partita contro i New Orleans Pelicans e lo ha fatto con tanto rumore. Partito un po’ contratto, Ja Morant è andato lentamente deflagrando fino a distruggere gli avversari con le armi tecniche e atletiche che madre natura gli ha donato. Ne ha messi 34 con 8 assist e il floater della vittoria. Una vittoria che sa tanto di redenzione. Giocatore tra i più talentuosi della NBA. In pratica, è un Concorde nel corpo di un playmaker di 1.90, un razzo palla in mano. In grado di fare coast to coast a velocità “Allen Iverson”, di puntare il proprio uomo in palleggio – sia a destra che a sinistra – e di attaccare il canestro indifferentemente dall’altezza del difensore che gli si para davanti. Se prende il centro area dopo uno split sul pick and roll è in grado di inchiodare schiacciate fragorose a una mano sulla testa del malcapitato di turno. Oppure di girarsi sul perno e di segnare in sottomano contro il tabellone, trovando angoli fantasiosi e per nulla semplici. Al tiro da tre è ancora tanto indietro (31.9% in carriera) e deve assolutamente lavorarci, perché spesso nelle partite con ritmi più lenti o contro le difese meno “allegre” fatica a mettersi in ritmo. Ma guida il contropiede come un padreterno, accende la fantasia dei tifosi, ed è l’unico in grado di risollevare i Memphis Grizzlies dai bassifondi della classifica (tredicesimi a Ovest). Ben tornato, Ja. Non fare più sciocchezze.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana. Ah, Buon Natale.