Non si può nemmeno più parlare in una fumata nera nella ricerca, spasmodica, ma senza fine, di una pista da bob, skeleton e slittino per le Olimpiadi Milano-Cortina 2026. Da sei mesi ogni riunione che abbia sul tavolo – tecnico o politico – il problema dell’impianto sportivo più controverso dei Giochi si conclude senza decisioni, con analisi interlocutorie e rinvii ad altra data o altra sede. Accade da quando in estate andò deserto il bando da 85 milioni per trovare un costruttore. È accaduto anche nell’ennesima assemblea dei soci di Fondazione Milano-Cortina 2026, nonostante sulla vicenda si stiano affannando due ministri (Matteo Salvini della Lega e Andrea Abodi di Fratelli d’Italia) a nome del governo Meloni e il meglio della reggenza dello sport italiano (il presidente del Coni Giovanni Malagò). Nessuna scelta, soltanto discussioni tecniche e valutazioni politiche.

Di arrivare a una decisione su uno dei due progetti ancora non se ne parla, anche se da ambienti vicini al ministero delle Infrastrutture era trapelato che un bando di gara per Cortina sarebbe già in corso di preparazione per gli ultimi giorni dell’anno. Il cronoprogramma decisionale si limita, per ora, ad indicare nel 30 gennaio prossimo la data in cui il consiglio di amministrazione formalizzerà la scelta tra i due opposti progetti. Il primo (già indicato nel dossier di candidatura nel 2019 e poi arenatosi per mancanza di imprese) è quello di rifare ex novo la “Eugenio Monti” di Cortina, con una spesa totale di 124 milioni di euro. Il secondo è quello di riesumare l’impianto di Cesana Pariol, costruito per i Giochi 2006, ma chiuso dopo qualche anno perché troppo costoso e pericoloso (dovrebbe utilizzare 50 tonnellate di ammoniaca).

La data di fine gennaio prelude alla scadenza, fissata dal Comitato Olimpico Internazionale, del giorno 31 quale data ultima perché l’Italia comunichi se è in grado di rispettare l’impegno di consegnare una pista capace di ospitare le gare che si svolgeranno nel febbraio 2016. L’assemblea di Fondazione si è limitata a prendere in esame i due progetti arrivati a inizio settimana. La valutazione richiede approfondimenti non semplici, per questo l’incontro si è concluso con l’unico impegno inderogabile – a cui ormai l’Italia non può più sottrarsi – fissato per il 30 gennaio.

Che la decisione non sia facile lo sta dimostrando il balletto surreale a cui tutti i protagonisti stanno dando il loro contributo. A ottobre Malagò annunciò al Cio che il governo italiano aveva rinunciato alla pista, per mancanza di risposte alla gara d’appalto e di tempo per omologazione e collaudi. Il che voleva dire che si sarebbe andati all’estero.Poi Abodi ha rilanciato in alternativa l’ipotesi Cesana. Subito si sono accodati il vicepremier Antonio Tajani e il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, entrambi di Forza Italia. Intanto il governatore veneto Luca Zaia ha puntato i piedi, chiedendo compensazioni, sotto forma di gare in più da concedere a Cortina, senza però rinunciare al sogno della “Eugenio Monti”. Il 5 dicembre, quando tutto faceva credere che il dilemma fosse ridotto all’estero (Sankt Moritz) o Cesana, Salvini ha sparigliato le carte, annunciando entro una settimana un progetto per Cortina, con la stessa spese e una dimensione più contenuta (via alcuni parcheggi e servizi collaterali) per consentire margini di profitto alle imprese.

All’antivigilia di Natale i due piani alternativi sono stati aperti da Fondazione. Ognuno con qualche pro e tanti motivi contro. Cesana richiederebbe un riavvio temporaneo della pista con ammoniaca e la promessa (in nome della legacy olimpica) che dopo i Giochi l’Italia opererà la conversione del sistema di creazione del freddo, così da avere una struttura rinnovata e utilizzabile, come lascito olimpico. Il costo sarebbe, nella prima fase, tra i 15 e i 20 milioni di euro. Serve comunque una deroga del Cio. Il progetto Cortina Due non cambia nei costi e neppure nella parte principale della pista, ma perderebbe alcuni servizi. Eppure andrebbe fatto un bando di gara nuovo, con tutto ciò che esso comporta in termini di tempi (non meno di un mese per la stesura e la presentazione delle offerte) e di rischi (per la terza volta l’asta potrebbe andare deserta). Se si pensa che il collaudo dovrebbe avvenire entro marzo 2025, l’impresa appare pressochè impossibile, salvo ulteriori deroghe del Cio.

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